Il futuro degli Europei è legato alla loro capacità di portare a termine il processo di unificazione del continente, che in questo momento si trova di fronte ad un bivio esistenziale. Questo è il tema che Enrico Letta (attualmente vicesegretario del Partito Democratico) e Lucio Caracciolo (fondatore e direttore di Limes. Rivista italiana di geopolitica) affrontano nel volume “L’Europa è finita?”, edito a Torino nei mesi scorsi.

I due autori partono da analisi diverse, ma sono accomunati dalla convinzione che solo un’Europa unita politicamente avrebbe oggi gli strumenti per garantire nuovamente agli Europei una prospettiva di progresso. Letta esprime una posizione tipicamente europeista, difendendo dagli attacchi degli euroscettici sia l’esistenza di una vera identità europea, fatta di storia e cultura comune, sia il metodo funzionalista con cui è stata costruita l’Europa finora (ossia cedendo competenze in campo economico ma lasciando agli Stati la prerogativa della politica), e sottolineando come la costruzione europea abbia sempre potuto progredire solo in seguito a crisi che mettevano a nudo l’impotenza e l’inadeguatezza dei singoli Stati. Queste peculiarità del processo europeo sono dovute, a suo parere, alle difficoltà strutturali implicite nel trasferimento di potere dagli Stati al livello europeo, che hanno richiesto un cammino graduale e hanno permesso di avvicinare la nascita dello Stato europeo solo sulla spinta dell’urgenza dovuta a crisi altrimenti insolubili.

Lucio Caracciolo, invece, replica a Letta con posizioni, nella sostanza, federaliste, criticando proprio il fatto che l’integrazione europea non sia stata affrontata come un processo politico democratico capace di coinvolgere i cittadini, partendo subito dalla creazione di uno Stato federale europeo. Di fronte alla gravissima crisi che scuote da alcuni mesi l’Unione monetaria egli sottolinea come l’approccio europeista abbia ormai esaurito la propria funzione (“Io parto dal principio che a noi l’Europa convenga, ma che a questo punto non possa più risolversi nella prosecuzione della nobile avventura europeista” – p.122; “ringraziamo (l’europeismo) per quello che di straordinario ha prodotto, sotto l’impulso americano, dalla seconda guerra mondiale all’unificazione tedesca, e passiamo a progettare l’Europa, discutendone pubblicamente e senza tabù: il contrario dell’europeismo... Quello per cui, come diceva Jacques Delors, ‘L’Europa avanza mascherata’ ” – p.69); pertanto è ormai indispensabile riguadagnare il consenso dell’opinione pubblica al progetto europeo dei padri fondatori, coinvolgendola in un progetto politico “che nasca dall’iniziativa dei parlamenti e dei governi dei paesi interessati a formare la Confederazione Europea. Non un’Unione sancita da un trattato internazionale, ma un nuovo Stato fondato sulla costituzione confederale elaborata da un’assemblea costituente eletta nei singoli paesi su liste europee. Un’impresa del genere deve però partire ... da un aperto e conflittuale dibattito pubblico. L’Europa deve togliersi la maschera. Non se la toglierà da sola, dobbiamo farlo noi Europei” – p.123.

Anche Enrico Letta, pur ritenendo che dopo il fallimento nel 1954 della Comunità europea di difesa (CED) sia stato lungimirante spostare l’integrazione europea “sul dominio economico, che a quel tempo sembrava un ripiego, ... perché l’economia è diventata invece il traino della politica europea”, comunque concorda che “aver pensato che la dinamica monetaria e quella politico-economica fossero scindibili è stato un errore clamoroso” – p.118. “Quello che è accaduto nel 2010, anno in cui si è avuta l’impressione che l’Europa come l’abbiamo conosciuta fosse finita, ci obbliga ad affrontare il fatto che dobbiamo necessariamente ricongiungere i cinque elementi della statualità (i confini, il mercato, la moneta, la difesa e la politica estera, NdA), rimettendo ordine alle storture di un soggetto asimmetrico. Altrimenti l’Europa non ce la farà. Credo che la volontà politica vada indirizzata tutta verso questo obiettivo” – p.120.

Entrambi quindi, pur partendo da approcci diversi, concordano dunque sull’urgenza, in questo momento drammatico, della creazione di uno Stato federale europeo. Ed entrambi concordano anche sul fatto che possa essere costruito solo a partire dall’iniziativa di un’avanguardia di Stati. “Il mio auspicio”, scrive Letta, “è che la crisi in corso possa finalmente portare alla nascita degli Stati Uniti d’Europa tra un nocciolo ristretto di paesi, attorno al quale vi sia una più ampia Confederazione europea” – p.92. “Concordo sull’Euro-nucleo, purché naturalmente l’Italia ne faccia parte”, replica Caracciolo, che più avanti specifica: “Penso ad un progetto geopolitico che nasca dall’iniziativa dei parlamenti e dei governi dei paesi interessati … L’Italia dovrebbe promuovere questo progetto” – p.123. Le questioni che i due autori trattano nel corso del libro per mettere in luce la necessità e l’urgenza di un salto di qualità del processo di unificazione europeo sono numerose, dall’attuale fragilità dell’euro, alla crisi politico-sociale che attraversano i diversi paesi europei, alla necessità di poter giocare, a livello internazionale, un ruolo attivo e propulsivo, che permetta al nostro continente di non trovarsi emarginato nel nuovo quadro che si va delineando. Gli interlocutori che contano oggi sulla scena mondiale sono infatti ormai i paesi “emergenti” come la Cina e l’India, che dialogano con gli USA per ridefinire gli equilibri geopolitici del mondo e che usano i propri capitali per “acquistare zone strategiche nel mondo di oggi”. Il fantasma che Caracciolo e Letta sembrano prospettare è quello di un “G2” tra Cina e Usa, destinato a definire gli equilibri mondiali. Ancora una volta emerge pertanto l’esigenza di un’Europa unita politicamente, con un’unica politica estera, in grado di confrontarsi alla pari con le grandi potenze; anche se non bisogna nascondersi che oggi il livello di consapevolezza e di impegno della classe politica è molto diminuito rispetto ai tempi della nascita della CECA, quando governi e parlamenti erano molto più impegnati sulle questioni europee e sostenevano chiaramente la necessità della Federazione europea.

Nel complesso questo breve libro fornisce una panoramica efficace delle questioni fondamentali che riguardano la costruzione europea. A Lucio Caracciolo ed Enrico Letta va dunque riconosciuto innanzitutto il merito di aver affrontato e portato all’attenzione dei lettori il tema cruciale dell’Europa, cercando di indicare, e sostenendo in prima persona, le risposte radicali e innovative di cui il nostro continente ha bisogno in questo momento per uscire dalla grave crisi che lo sta travolgendo. Al di là delle rispettive differenze, e di alcuni giudizi taglienti di Caracciolo che sono molto utili, ma che devono essere ben interpretati o di alcune posizioni non sempre condivisibili di Letta (che in certi punti si contraddice e ricade in ingenuità “europeiste”, come le definisce Caracciolo, dimenticando che la priorità oggi va alla costruzione di un vero Stato federale europeo ed auspicando passi intermedi istituzionali che risulterebbero di fatto irrealistici o inutili), si tratta di una lettura utile e stimolante, che aiuta a mettere a fuoco le questioni cruciali per il nostro futuro e quello delle nuove generazioni.

 

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