Il quadro mondiale attuale è caratterizzato non solo dagli effetti che la crisi finanziaria sta producendo sull’economia reale, ma anche dalle difficoltà e dalle contraddizioni che minano il sistema monetario internazionale. Le regole che erano state fissate a Bretton Woods nel 1944 avevano visto gli Stati Uniti, vincitori della seconda guerra mondiale, imporre le basi del sistema e soprattutto il ruolo di moneta guida del dollaro, che avrebbe dominato incontrastato fino alla crisi monetaria della fine degli anni 60; crisi sancita dalla dichiarazione di Nixon del 15 agosto del 1971 che annunciava la fine della convertibilità del dollaro in oro e l’inizio del cosiddetto dollar standard. Negli anni successivi, questo tipo di regime ha permesso agli Stati Uniti di sfruttare il proprio status di superpotenza economica e politica del mondo occidentale scaricando sul resto del mondo i costi del suo sviluppo, svalutando e rivalutando il dollaro in base ai propri interessi. Oggi, che i rapporti di forza nel mondo stanno cambiando profondamente, soprattutto per l’ascesa della Cina e dell’India – ma anche dei paesi petroliferi, che non possono più essere ignorati – questo sistema che ruota intorno agli USA non appare più sostenibile, soprattutto perché l’America è oggi il paese più indebitato del mondo e presenta una bilancia dei pagamenti fortemente passiva e un debito pubblico in continua ascesa. Anche l’emergere, nonostante l’assenza politica dell’Europa, dell’euro sui mercati mondiali – che offre possibilità di diversificazione monetaria per quanto riguarda sia le riserve nazionali, sia gli scambi commerciali – ha contribuito a mettere in crisi il ruolo del dollaro. Già alcuni paesi sudamericani hanno deciso di scindere i legami con la moneta statunitense, dopo l’esperienza disastrosa della fase della cosiddetta dollarizzazione della loro economia, e lo stesso yuan cinese si è almeno in parte sganciato dal cambio con il dollaro.
Proprio la posizione particolare della Cina, grande potenza emergente sotto ogni punto di vista, che rispetto agli Stati Uniti ha un rapporto di complementarietà economica e di potenziale conflittualità politica, spiega la ragione dell’intervento del Presidente della Banca centrale cinese Zhou Xiaochuan lo scorso marzo per chiedere l’introduzione di una nuova moneta di riserva mondiale, di fatto proponendo, anche se non a brevissimo termine, la riforma del sistema monetario internazionale. Zhou, infatti, da un lato rileva l’inadeguatezza del sistema attuale per gestire gli enormi flussi monetari generati dalla globalizzazione e l’anacronismo delle istituzioni internazionali su cui si basa (basti pensare che nel consiglio del Fondo Monetario Internazionale il voto della Cina pesa un quarto di quello statunitense, la metà di quello giapponese e poco più di quello italiano). Ma soprattutto pone il problema di trovare una nuova moneta di riserva mondiale, che non sia quella di un singolo paese – legata ad interessi nazionali specifici – per evitare le distorsioni provocate dalla svalutazione o rivalutazione arbitraria della moneta di riferimento del sistema e assicurare così la stabilità degli scambi finanziari e commerciali a livello globale, facilitando lo sviluppo economico.
Come scrive Xiaochuan, “I paesi che emettono monete di riserva sono costantemente davanti al dilemma tra il conseguimento dei propri obiettivi nazionali e il far fronte alla domanda degli altri paesi che chiedono moneta di riserva. Da un lato le autorità monetarie non possono semplicemente focalizzare l’attenzione sugli obiettivi nazionali liberandosi dalle responsabilità internazionali, dall’altro non possono perseguire obiettivi nazionali e internazionali allo stesso tempo… Esiste ancora il dilemma di Triffin, e cioè i paesi che emettono la moneta di riserva di riferimento non possono al tempo stesso mantenere il suo valore e garantire la liquidità monetaria mondiale”.
Zhou Xiaochuan propone perciò di allargare il paniere di monete che compongono i Diritti Speciali di Prelievo (oggi esse sono il dollaro, l’euro, lo yen e la sterlina), di iniziare ad utilizzare questi ultimi come moneta di riserva sovranazionale e nel tempo affidare al FMI parte della gestione delle riserve dei paesi partecipanti. E’ una proposta che si rifà in parte a quella di Keynes del 1940 di introdurre il bancor, moneta virtuale basata sul valore di 30 beni di prima necessità, che fu scartata a Bretton Woods.
La Cina non sembra però aver fretta, e si dimostra cauta nel fare le sue proposte attraverso Zhou Xiaochuan e nell’attaccare il dollaro e gli USA, dato il complesso intreccio di interessi che lega i due paesi. Si tenga conto che gran parte delle sue immense riserve monetarie (per un valore di oltre duemila miliardi di dollari) sono espresse proprio in moneta Usa, che la Cina è il più grosso investitore in titoli del debito pubblico americano, che gli investimenti cinesi negli Stati Uniti sono elevatissimi. Ciò non toglie che attraverso le parole del Presidente della sua banca centrale la Cina dimostri la propria preoccupazione per la situazione mondiale che “riflette vulnerabilità e rischi sistemici nel sistema monetario internazionale”. E che quindi auspichi “una grande visione politica” e un “grande coraggio” per iniziare ad attuare una riforma globale.
In questo dibattito l’Unione europea brilla per la sua assenza. Anche a livello internazionale è evidente la tendenza in atto in Europa di un ritorno al nazionalismo invece che ad una politica di rafforzamento del processo di unificazione. Basti pensare che, finora, i paesi dell’Ue hanno spesso preso decisioni divergenti all’interno del FMI, quando invece, uniti, avrebbero potuto essere determinanti nell’imporre un particolare orientamento. In generale l’Europa e, in particolare i paesi dell’area euro, se non fossero divisi, potrebbero avere in effetti un ruolo di riequilibrio monetario all’interno del sistema internazionale; ma ci vorrebbe uno Stato federale europeo, e quindi un governo, in grado di fare una vera politica monetaria e di agire con una voce sola. Nelle attuali condizioni, invece, l’euro, non avendo una politica monetaria alle spalle, perde gran parte delle sue potenzialità.
L’Europa per ora rinuncia quindi a giocare un ruolo di riequilibrio a livello mondiale sia in campo monetario, che in campo economico e politico, lasciando agli altri protagonisti della scena mondiale il compito di farsene carico. Quello che si può dire è che, sicuramente, oggi, quella grande visione politica e quel coraggio necessari per una riforma globale del sistema, cui si richiama Zhou Xiaochuan, non esistono in Europa.