Un aspetto fondamentale del dibattito politico sul futuro dell’Europa riguarda il ruolo che questa potrà assumere nella politica internazionale nei prossimi decenni. Il discorso pronunciato lo scorso novembre all’Università di Bruges dal Ministro degli Esteri inglese David Miliband si propone di affrontare proprio questa prospettiva, cercando di delineare un quadro generale della situazione europea di qui al 2030.

Miliband individua nelle grandi problematiche ambientali, nella crisi economica, nel terrorismo internazionale e nell’insicurezza degli approvvigionamenti energetici quelle che saranno le nuove ragioni d’essere dell’Europa e propone come tesi fondamentale della sua argomentazione il fatto che l’Europa è destinata a diventare una potenza modello e non una superpotenza. A differenza degli Stati Uniti e delle altre superpotenze emergenti quali Cina e India, l’Europa infatti avrà, secondo il ministro inglese, un ruolo differente nello scenario internazionale, proponendosi come “potenza modello di cooperazione regionale”. I quattro punti cardine che dovrebbero permettere all’Europa di raggiungere questa condizione sono, in primo luogo, l’apertura al mondo per quanto riguarda i mercati e gli investimenti, pur mantenendo il riferimento ai valori legati alla giustizia sociale. In secondo luogo il rafforzamento e la diffusione del modello delle istituzioni comunitarie di cui l’Europa si è dotata in questi anni; questo dovrebbe permettere sia di allargare ulteriormente i confini europei per includere la Turchia e altri paesi dell’area, sia di rendere l’Europa un esempio per la soluzione di situazioni come quella medioorientale. Inoltre, grazie all’influenza che avranno i ventisette e più Stati, l’Europa potrà avere un importante ruolo anche negli equilibri internazionali e all’interno della NATO e dell’ONU, avendo la possibilità di schierare efficienti forze militari per interventi di peacekeeping e di risoluzione, o prevenzione, di eventuali crisi. L’ultimo aspetto riguarda le sfide legate ai cambiamenti climatici e ai problemi dell’inquinamento, che dovranno essere affrontate ponendosi nuovi e ambiziosi obiettivi di riduzione dell’emissione di gas serra e degli agenti inquinanti nei prossimi anni.

L’analisi del ministro inglese, tuttavia, prescindendo per ora dal merito delle sue proposte, non identifica le modalità e gli strumenti con i quali si dovrebbero svolgere simili politiche che necessiterebbero, per la loro realizzazione, sia di soft che di hard power (come ritiene indispensabile lo stesso Miliband).

L’intensificazione della cooperazione e il miglioramento dei regolamenti e delle istituzioni attuali dell’Unione, alla prova dei fatti, non sono assolutamente sufficienti per poter esercitare delle politiche di tale portata in maniera realsitica ed efficace. Alla base di una simile struttura confederale e di cooperazione intergovernativa, ragionando in termini di potere, rimangono infatti ventisette (e, in prospettiva, anche più) ragion di Stato diverse. Come dimostra la situazione di declino generale che vivono in questi anni i paesi europei – che, nonostante i grandi progressi compiuti dal processo di integrazione, non riescono ad affrontare le sfide mondiali che stanno plasmando rapidissimamente l’assetto internazionale in direzione di un nuovo ordine multipolare – questa frammentazione si rivela paralizzante e riduce le stesse istituzioni europee all’impotenza. Miliband, al contrario, individua come aspetti caratterizzanti e vincenti di questa Unione europea proprio la sua struttura confederale, che dovrebbe semplicemente incrementare l’apertura dei suoi mercati, l’applicazione dei principi di sussidiarietà, il continuo miglioramento dei regolamenti e l’allargamento ad altri paesi. La prospettiva che deve invece essere ripresa, nella sua apparente semplicità, è quella che era presente all’inizio del cammino dell’integrazione europea, vale a dire la creazione nel più breve tempo possibile di uno Stato federale europeo. Chiaramente, come afferma Miliband, le ragioni d’essere dell’Europa si sono evolute e trasformate rispetto al dopoguerra ma queste spingono ancora più intensamente verso la necessità della creazione di una Federazione europea e di un governo politicamente responsabile.

Per quanto riguarda l’aspetto di modello, è innegabile che i grandi successi dell’integrazione tra nazioni che sono state per secoli in guerra tra loro siano un esempio di straordinaria importanza a livello mondiale, ma resta il fatto che, se l’Europa vorrà porsi in futuro come esempio vincente, deve al più presto risolvere la questione del potere al proprio interno e creare un Stato federale europeo sovrano dotato degli strumenti adeguati. Solo una simile Unione federale potrà avere il ruolo di potenza modello, sia perché sarà l’esempio di un nuovo modo di organizzazione della società, il cui senso profondo sarà la solidarietà umana al di sopra delle frontiere, sia perché, allo stesso tempo, sarà la negazione della nazione come entità chiusa ed esclusiva. Mantenendo le divisioni in Stati nazionali, come vorrebbe Miliband, l’Europa va invece incontro ad un futuro di declino ed è destinata a rimanere in una posizione di inferiorità rispetto agli altri poteri mondiali.

 

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