Negli anni Sessanta, tutte le forze disponibili dell’Alleanza atlantica dovevano essere schierate sul campo di battaglia europeo per contrastare quelle del blocco sovietico e non c’era spazio per le obiezioni di chi, come la Francia, pensava di avere degli interessi propri da difendere. Fu così che nel 1966 il presidente Charles de Gaulle, temendo che le forze armate francesi sarebbero state indebolite e umiliate dalla dipendenza dagli Stati Uniti, ritirò il paese dal comando integrato della NATO ed espulse tutte le basi statunitensi dal territorio francese.

Dopo la caduta dell’Unione Sovietica e l’avvento della globalizzazione la situazione è radicalmente cambiata. Gli Stati Uniti sono rimasti l’unica potenza in grado di agire a livello globale e la NATO ha cercato di riconvertirsi nella prospettiva di difendere gli interessi dell’Occidente nei confronti delle nuove minacce: il terrorismo internazionale, la difesa degli approvvigionamenti di materie prime, la risoluzione dei conflitti locali.

Questa trasformazione ha comportato il fatto che, invece di armarsi e prepararsi in vista di una guerra solo minacciata, i soldati europei hanno oggi di nuovo la possibilità di intervenire in conflitti limitati ma cruenti, potenzialmente in ogni parte del mondo. C’è oggi bisogno di inviare, dove servono, unità di combattimento relativamente piccole e altamente professionali. Oltre agli Stati Uniti, gli unici paesi che possono ricorrere ad un esercito che possiede l’allenamento, le basi, l’organizzazione e soprattutto la volontà politica di uccidere e morire in territori lontani sono la Gran Bretagna e la Francia.

Non è un caso quindi che in questo periodo il presidente francese Nicolas Sarkozy, forte delle buone relazioni con Washington e dei successi ottenuti con le operazioni militari in Africa e nei Balcani, abbia espresso la volontà di rientrare a pieno titolo nel comando integrato della NATO. A questa richiesta, durante il recente vertice NATO di Bucarest, Sarkozy ha affiancato l’offerta di potenziare il contingente militare francese in Afghanistan.

Ma il progetto del presidente francese non si limita alla NATO: Sarkozy sta anche cercando di ottenere il via libera americano all’implementazione della politica comune europea, che egli concepisce nell’ambito dell’Alleanza atlantica. Mentre il confronto con l’Unione Sovietica richiedeva un’organizzazione rigida e gerarchica delle forze militari sotto la guida americana, il nuovo scenario militare rende possibile ed anzi auspicabile una maggiore autonomia e libertà d’iniziativa dei singoli eserciti alleati, pur nel quadro di obbiettivi e strategie comuni. In questo contesto si spiega il nuovo orientamento favorevole dell’Amministrazione americana verso la creazione di strutture di difesa organizzate a livello europeo, che sgraverebbero gli USA dalla responsabilità di intervenire in aree meno critiche, per esempio in Africa.

Nei piani di Sarkozy, dunque, i ruoli leader della Francia sia all’interno della NATO che nel progetto che egli definisce di difesa comune europea si rafforzerebbero a vicenda, e la sua illusione è che la Francia possa così recuperare un ruolo di potenza riconosciuta a livello mondiale e ridare slancio al proprio nazionalismo.

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La Germania, che sta cercando da tempo di approfittare della nuova situazione internazionale per espandere ad Est la sua influenza, sta agendo in modo diverso, ma analogo, alla Francia. È di questi giorni la notizia che il blocco conservatore che sta attorno ad Angela Merkel ha promosso un dibattito sugli interessi nazionali della Germania. La Merkel ha proposto l’istituzione di un Consiglio di Sicurezza Nazionale e ha già pubblicato un documento strategico che detta le linee del governo per perseguire gli interessi tedeschi nel contesto dell’Unione europea e dell’Alleanza atlantica. È la prima volta dalla seconda guerra mondiale che un partito di governo tedesco pone esplicitamente sul tappeto l’idea di una politica estera autonoma per la Germania.

L’unico elemento positivo è che il partito socialdemocratico ha reagito all’iniziativa della Merkel recuperando l’idea della creazione di un esercito comune europeo. Il ministro degli Esteri FrankWalter Steinmeier ed alcuni influenti esponenti dell’SPD hanno fatto dichiarazioni in favore del rafforzamento dell’esercito tedesco attraverso la creazione di una forza armata europea. Il partner chiave per questo piano sarebbe la Francia, con la quale sono stati già presi accordi per migliorare le aree comuni in campo militare. Ma a sua volta, il Ministro francese della Difesa Hervè Morin ha promosso una serie di iniziative per rilanciare l’Europa della difesa durante il semestre di presidenza francese che vanno esclusivamente nel senso di una cooperazione intergovernativa. Tra l’altro egli ha dichiarato di aver avuto “discussioni molto positive con gli inglesi, i tedeschi e gli spagnoli” e che il Trattato di Lisbona, quando entrerà in vigore dopo la ratifica dei 27 paesi, renderà possibile a suo giudizio “una diplomazia europea dotata di nuovi mezzi ed ambizioni”.

Anche il primo ministro inglese Gordon Brown ha voluto prendere posizione sulle prospettive politiche dell’Europa con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona in una intervista a Le Monde dopo il recente summit con Sarkozy. Il premier inglese rivendica per l’Europa un ruolo di leader nel quadro, da lui auspicato, di una globalizzazione che investe non solo l’economia, ma l’intera società mondiale e che, a suo parere, “cambia radicalmente il modo in cui la politica internazionale deve essere trattata”. Gordon Brown sostiene che l’Europa deve diventare l’avanguardia nello scenario mondiale di chi intende realizzare una società capace di affrontare le nuove sfide come i cambiamenti climatici, la lotta al terrorismo e all’instabilità e capace di creare una cooperazione economica tra i paesi ricchi e quelli poveri, una società in cui tutte le popolazioni siano ben integrate e possano beneficiare della prosperità. A questo obiettivo devono essere mirate le proposte di riforme istituzionali avanzate da Gran Bretagna e Francia che interessano l’ONU, la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale.

Salta all’occhio nelle posizioni dei leader di Francia, Germania e Regno Unito l’assenza totale di riferimenti ai cambiamenti in atto nel quadro mondiale e soprattutto alle nuove potenze emergenti: Cina, Russia ed India. In effetti è illusorio pensare che gli interessi comuni espressi dalla “società globale” auspicata da Gordon Brown possano prevalere per molto tempo su quelli particolari ma potenti di questi Stati, una volta che avranno raggiunto la forza di confrontarsi alla pari con gli Stati Uniti. È molto più probabile che la società della globalizzazione si avvii verso un nuovo sistema mondiale di relazioni tra gli Stati dominato dalle grandi potenze continentali e che ai cittadini europei, restando prigionieri delle vecchie aporie dei loro Stati nazionali, tocchi alla fine far fronte al destino inevitabile che Machiavelli assegna a chi non può contare su se stesso ma deve confidare sulla forza degli altri.

Invece di indirizzare le loro energie alla ricerca di soluzioni inefficaci rispetto al problema della mancanza di influenza dei loro Stati, i maggiori leader europei, della Francia e della Germania in particolare, dovrebbero riconoscere che gli interessi generali dei propri cittadini coincidono con quelli dell’Europa nel suo complesso e seguire l’esempio di Schumann ed Adenauer, che avevano compreso che la Francia e la Germania avrebbero potuto giocare alla pari con le altre potenze mondiali soltanto fondendo i loro eserciti e le loro diplomazie all’interno di uno Stato federale europeo.

  

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