In generale il referendum viene considerato sia come un istituto perfetto di democrazia diretta sia come un pericoloso strumento a rischio di manipolazioni. Esso può trovare applicazione sia nei processi di innovazione costituzionale e legislativa o, in alternativa, essere utilizzato a presidio della conservazione dell’ordinamento dello Stato. Questioni di assoluta rilevanza ma che non sono trattate in questa sede, dove ci limitiamo a considerare alcuni aspetti fattuali in relazione al quadro europeo e ad alcuni paesi, aspetti che mettono in evidenza le difficoltà legate all’ipotesi di un istituto referendario europeo.

Come introdurre un referendum europeo?

A livello europeo l’istituto referendario non è contemplato nei trattati vigenti (TUE). Per poterne prevedere l’introduzione si possono avanzare due macro ipotesi quella che passa attraverso una conferenza intergovernativa e quella invece che prevede un referendum nazionale in ogni paese da svolgere in modo concomitante , che però occorre far precedere da tre considerazioni pregiudiziali.

1) Qualsiasi ipotesi di referendum europeo deve trovare una sua precisa base giuridica. L’eventuale natura consultiva non riduce certo la necessità di individuare e/o introdurre norme cogenti nell’ordinamento comunitario.

2) La seconda considerazione pregiudiziale esclude la possibilità di utilizzare lo strumento delle cooperazioni rafforzate per l’introduzione dell’istituto referendario in quanto contrario al diritto comunitario, art. 43 TUE, par. b.

3) Terza ed ultima considerazione è quella sulla contraddizione tra la natura consultiva del referendum e l’introduzione dell’istituto a conclusione del processo di revisione dei trattati ed in stretto rapporto con l’adozione degli stessi. I referendum consultivi si caratterizzano per essere uno strumento ex-ante ben poco compatibile con l’espressione di una volontà ex-post che non può che essere di tipo confermativo. Non è un caso che, dove previsti, i ferendum in tema di adozione di trattati e di modifiche costituzionali sono a carattere confermativo. Invece i consultivi, così come quello previsto per la ristrutturazione del territorio federale dei Länder o per la fusione e creazione di nuove regioni nel territorio italiano , tendono a raccogliere il consenso dei cittadini all’avvio di un processo politico e su una o più opzioni di proposta legislativa.

Conferenza intergovernativa

La prima ipotesi si riferisce alla procedura intergovernativa a suo tempo seguita per l’introduzione delle elezioni a suffragio universale diretto al Parlamento europeo. La procedura di modifica dei trattati, che trova applicazione nell’art. 48 TUE, prevede la proposta di modifica per iniziativa di uno Stato membro o della Commissione e la convocazione, da parte del Consiglio, di una Conferenza intergovernativa (Cig). Gli emendamenti prendono di regola il nome di trattato o atto ed entrano in vigore dopo essere stati ratificati da tutti gli Stati membri conformemente alle loro rispettive norme costituzionali.

L’attualità politica sembrerebbe sconsigliare tale strada. Siamo al culmine di un’acuta fase di crisi comunitaria aperta proprio dall’esito negativo del referendum confermativo sulla ratifica TCE svoltosi in Francia nel maggio 2005. In realtà, a ben guardare, uno spiraglio potrebbe aprirsi proprio in occasione dell’eventuale apertura di una nuova Cig che dovrebbe portare all’elaborazione di un nuovo progetto di trattato. Il Consiglio europeo del prossimo 21 e 22 giugno 2007 potrebbe decidere non solo la convocazione di una nuova Cig ma anche il relativo mandato negoziale che, con buona probabilità, sarà tanto più ristretto, quanto più si voglia salvare la sostanza innovativa del TCE. In questa sede i capi di Stato e di governo potrebbero invitare la Cig a definire le modalità di introduzione dello strumento referendario.

In tale prospettiva l’attuale art. IV447 TCE relativo alla ratifica e entrata in vigore del trattato poretrebbe contenere un emendamento del tipo: “il presente trattato entrerà in vigore successivamente alla celebrazione di un referendum confermativo al cui voto saranno chiamati tutti i cittadini europei degli Stati membri che abbiano provveduto a depositare gli strumenti di ratifica”. Una tale formulazione non potrebbe in ogni caso derogare alle disposizioni costituzionali nazionali di ratifica in tema di trattati. In tal caso qualsiasi delega di sovranità sarebbe incostituzionale. Quindi la ratifica andrebbe in capo alle procedure degli ordinamenti costituzionali nazionali, mentre l’entrata in vigore sarebbe subordinata al consenso della maggioranza dei cittadini degli Stati membri che hanno ratificato.

La base giuridica sarebbe così definita ma con l’evidente risultato di aver complicato a dismisura il processo di adozione delle nuove norme, e più precisamente.

1) In almeno due stati membri Irlanda e Danimarca (e forse in Francia, Spagna e negli altri Stati membri che volessero utilizzare od introdurre all’uopo un referendum di ratifica) si svolgerebbero almeno due referendum: uno nazionale di ratifica ed uno europeo per la successiva entrata in vigore.

2) Inoltre, qualora avessimo raggiunto o la totalità delle ratifiche nazionali o il quorum per l’entrata in vigore così come ad esempio previsto per la Legge fondamentale tedesca, cosa che costituirebbe una novità probabilmente ben più importante dell’introduzione del referendum stesso, avremmo, di fatto, raggiunto l’obiettivo politico dell’adozione dell’atto. A quale scopo introdurre un ulteriore passaggio ex-post di natura referendaria? Il comune buon senso vorrebbe che fosse decisamente evitato.

3) D’altro canto far precedere il deposito degli strumenti nazionali di ratifica da un referendum europeo sarebbe cosa quantomeno originale in quanto non potrebbe impegnare preventivamente la libera volontà delle assemblee o dei cittadini degli stati membri. Anzi si rischierebbe di aprire un conflitto tra due distinte volontà popolari, quella nazionale e quella europea.

Referendum nazionali concomitanti

Questa seconda ipotesi troverebbe conforto in una sorta di dichiarazione solenne in cui i 27 capi di Stato e di governo si impegnassero unanimemente alla ratifica nazionale per via referendaria da tenersi in occasione delle elezioni del 2009. In pratica ci troveremmo di fronte a 27 referendum consultivi nazionali che, per il solo fatto di tenersi nello stesso giorno, trasformerebbero la ratifica da nazionale in europea. Orbene, per procedere alla ratifica referendaria, la stragrande maggioranza degli Stati membri dovrebbe introdurre nuove norme legislative nei propri ordinamenti nazionali. Alcuni potrebbero aderire all’ipotesi del referendum europeo ed altri no, andando così a depotenziare fortemente la valenza politica dell’istituto. Vediamo il caso dell’Italia, della Germania e della Francia.

L’Italia dovrebbe prevedere norme di rango costituzionale così come fatto per il referendum consultivo sul potere costituente al Parlamento europeo, svoltosi nel 1989 (Legge cost. 1/89). In questo caso però l’istituto referendario non sarebbe più occasionale, come per l’89, ma dovrebbe prevedere una modifica permanente della costituzione italiana in tema di ratifica dei trattati internazionali e l’introduzione di un articolo europeo sul modello della costituzione francese e tedesca. Attualmente la questione è disciplinata implicitamente dall’art. 11 sulle limitazioni di sovranità per i trattati finalizzati a salvaguardare la pace, ed esplicitamente all’art. 80, che dispone l’autorizzazione parlamentare alla ratifica e dall’art. 87 sui poteri del Presidente della repubblica. Per completezza è opportuno ricordare che l’art. 75 non ammette il referendum abrogativo sui trattati internazionali stessi, articolo, che, nell’ipotesi di modifica, dovrebbe contenere un nuovo comma sul referendum confermativo.

Ovviamente il nostro paese, per poter procedere alla ratifica per via referendaria in occasione delle elezioni europee della primavera del 2009, dovrebbe adottare la nuova norma costituzionale entro la fine del 2008. La relativa proposta di legge costituzionale dovrebbe essere presentata al massimo per settembre del 2007, sperando che in 12/16 mesi sia possibile concluderne l’iter legislativo, stante la doppia lettura successiva a distanza non minore di 3 mesi (art. 138). Da aggiungere, infine, che qualora la legge costituzionale italiana non fosse approvata con la maggioranza dei due terzi, nella seconda votazione, da ciascuna delle Camere, la legge stessa che introduce il referendum consultivo in tema di trattati internazionali potrebbe essere sottoposta ad un referendum popolare confermativo. In un caso del genere, dando per scontato che gli italiani votino sì alla modifica della costituzione, la promulgazione delle nuove disposizioni costituzionali slitterebbe a non prima del 2010.

La Germania si troverebbe in condizioni del tutto simili a quelle italiane. Le limitazioni di sovranità sono esplicitamente previste dall’art. 23 della Legge fondamentale. Qui è disciplinata la procedura per l’istituzione dell’Unione Europea e per le modifiche delle norme dei trattati, mediante le quali la Legge fondamentale è modificata o integrata nel suo contenuto. In tali casi trova applicazione l’art. 79 sulla modifica della Legge fondamentale che deve prevedere una legge di revisione costituzionale che necessita dell’approvazione dei due terzi dei membri del Bundestag e dei due terzi dei voti del Bundesrat. In Germania la ratifica dei trattati segue le procedure legislative ordinarie così come previste dall’art. 59 sulla rappresentanza della federazione.

Tanto in materia di ratifica che di modifica della legge fondamentale non è previsto l’istituto referendario che potrebbe essere eventualmente introdotto solo con le procedure ex art. 79 e con specifico emendamento all’art. 23.

La Francia potrebbe indire un nuovo referendum così come previsto dall’art. 11 della Costituzione francese del 4 ottobre 1958 che affida al Presidente della repubblica il potere di sottoporre a referendum i progetti di legge (ordinari) in materia di ratifica di trattati. Non vi è nessun obbligo di indire un referendum ed inoltre il Presidente può procedere su proposta o del governo o congiunta delle due assemblee.

Ma vale la pena notare come la Francia, abbia già modificato il titolo XV della propria Costituzione “Delle Comunità e dell’Unione” (artt. da 881 a 88.7) con legge costituzionale del 1 marzo 2005 che ha preceduto di pochi mesi la successiva bocciatura del TCE nel referendum del 28 maggio 2005. La revisione della Costituzione è sottoposta sempre a referendum tranne nel caso in cui la legge di modifica sia adottata con la maggioranza dei 3/5 (art. 89). Tale procedura è normata dall’art. 54 che prevede che qualora il Consiglio costituzionale dichiari che un impegno internazionale contenga clausole contrarie alla Costituzione, l’autorizzazione alla ratifica può intervenire solo dopo revisione della Costituzione stessa. Pertanto l’attuale titolo XV della costituzione francese sarà applicabile solo dopo l’entrata in vigore del TCE stesso. Da rilevare infine che con la modifica del titolo XV è stata introdotta una nuova fattispecie referendaria in tema di trattati. L’art. 887 prevede, infatti, che il Presidente della repubblica deve convocare un referendum confermativo quando il trattato da ratificare sia relativo all’adesione di un nuovo Stato all’Unione.

 

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