Quasi due miliardi e mezzo di persone si stanno affacciando sul mercato mondiale della produzione e del consumo. Questo fenomeno ha delle ovvie implicazioni per quanto riguarda il problema dell’energia. E’ per questo che in tutti i paesi si è ricominciato a parlare, oltre che della diffusione dell’uso delle fonti di energia alternative al petrolio, anche della produzione di energia da fissione nucleare. Si tratta di un dibattito che gli europei pensavano di aver chiuso negli anni ottanta del secolo scorso, quando sotto la spinta della paura nucleare e delle preoccupazioni ambientali in tutti i paesi europei si erano presi provvedimenti che preludevano ad un abbandono di questa tecnologia, o comunque ad un ricorso ad essa sempre più ridotto. La globalizzazione e i problemi legati alla necessità di ridurre le emissioni di CO2 nell’atmosfera, hanno invece riaperto il problema, visto che è sempre più difficile per gli europei non affrontare tutti gli aspetti della politica energetica, e non solo quelli che fanno comodo a questo o a quel governo o schieramento di forze politiche nazionali.

Lo stato delle cose

Oggi sono in funzione 441 reattori nucleari nel mondo che producono circa il 17% dell’energia mondiale ogni anno. In Europa sono più di 100 le installazioni, che forniscono grosso modo il 35% dell’energia prodotta. Inoltre, per effetto dell’innovazione tecnologica, mentre il ritmo di installazione di nuove centrali è rallentato negli ultimi anni, l’energia prodotta dalle centrali nucleari attive ogni anno è cresciuta. Emblematico è il caso degli Stati Uniti, dove, nonostante non si costruiscano nuove centrali nucleari da circa 20 anni, la produzione di energia da fonte nucleare è cresciuta di circa 1000MW ogni anno. In generale il rallentamento di creazione di centrali non è stato solo la conseguenza delle forti resistenze delle opinioni pubbliche nei confronti dell’uso di questa tecnologia, ma anche delle scelte fatte da vari governi di investire in ricerche e sviluppo di nuove generazioni di reattori, più sicuri e affidabili. Sul piano tecnico, dalla II generazione di reattori si sta passando alla III ed è in fase di studio e progettazione la IV. Le differenze tra queste tipologie non prevedono radicali cambiamenti nella struttura del reattore rispetto agli schemi utilizzati ma introducono significativi miglioramenti. Così gli Stati Uniti, che hanno affidato la propria politica energetica ad uno stratega militare, hanno lanciato iniziative come la Global Nuclear Energy Partnership ( GNEP ) e Generation IV (riferita alla IV generazione di reattori) per accelerare l’evoluzione delle nuove centrali per poterne costruire, una volta pronti i progetti, un gran numero nel giro di pochi anni. Anche Cina e India sono state molto attente all’innovazione nucleare e hanno in programma di costruire rispettivamente circa 300 e 100 reattori entro il 2050. Invece l’Europa, anche in questo campo, è divisa e ogni Stato ha perseguito e continua a perseguire una propria politica energetica, senza alcun progetto coerente a lungo temine e su scala continentale.

La scarsità dell’uranio

In un mondo affamato di energia e di materie prime, tutte le risorse sono destinate a diventare sempre più scarse e costose e, in prospettiva, ad esaurirsi. Questo vale evidentemente anche per l’uranio. Ma questo non chiude il discorso per quanto riguarda l’impiego dell’energia nucleare nel prossimo futuro, non fosse altro per il fatto che questa è, e presumibilmente resterà, stante il crescente disordine internazionale, alla base della politica di proliferazione degli armamenti nucleari di un numero crescente di Stati. Viene spesso menzionato che le scorte di questo minerale non possano durare, tenendo conto dell’attuale ritmo di estrazione, oltre i 70 anni e che quindi non possa essere una valida alternativa ai combustibili fossili. Ma queste stime si riferiscono a materiale fissile con un elevato grado di concentrazione, quello cioè che attualmente è estratto a costi ritenuti ragionevoli e remunerativi (8090 $ al Kg) per i reattori attualmente usati, capaci di sfruttare solo l’1% del minerale estratto. Ma con le nuove generazioni di reattori sarà possibile utilizzare anche altre “miniere” di uranio, oggi considerate non economiche, ma che esistono (come le rocce a basso contenuto di uranio e l’uranio disciolto negli oceani: quest’ultima riserva viene considerata praticamente inesauribile). Certo l’estrazione di uranio da queste due ultime fonti avrebbe costi rispettivamente di 3 e 10 volte superiori agli attuali, ma bisogna considerare il problema nell’ottica del presumibile aumento del prezzo di tutte le risorse energetiche e di quello che gli Stati saranno disposti – costretti – a pagare, e a far pagare ai propri cittadini, nel prossimo futuro.

La scarsità è quindi certamente uno degli elementi da tener presente nel dibattito sull’uso dell’energia nucleare, ma non quello decisivo.

Il problema della sicurezza

Una grandissima preoccupazione legata al nucleare riguarda la sicurezza degli impianti e il problema delle scorie. Si tratta di una preoccupazione giustamente legata al duplice impiego civile e militare che ha avuto e continua ad avere la tecnologia nucleare e all’impatto devastante che hanno avuto sul piano ambientale e umano incidenti come quello di Chernobyl. Resta il fatto che in un mondo in cui, nonostante le riduzioni del numero di testate nucleari da parte degli USA e della Russia, questi paesi possiedono tuttora da sole un arsenale che ha il potenziale distruttivo di circa 150mila Hiroshima, il problema vero per il futuro dell’umanità resta quello di impedire la guerra e non quello dell’uso controllato e ragionevole dell’energia nucleare a scopi civili accanto ad altre energie.

Un aspetto ben più preoccupante, anche per gli aspetti collegati a possibili atti terroristici, risiede invece nella produzione di scorie radioattive da parte degli impianti civili e nella loro conservazione in sicurezza. Attualmente le scorie prodotte impiegano migliaia d’anni per decadere a livelli di radioattività naturali. Per questo alcuni Stati hanno investito enormi quantità di denaro per cercare di attenuare questo problema. In prospettiva le problematiche legate al trattamento delle scorie nelle nuove generazioni di reattori sono notevolmente diminuite rispetto alla situazione odierna, ma, nonostante questi miglioramenti e queste prospettive, la produzione di energia nucleare è ben lungi da poter essere considerata davvero sicura e pulita. A questo proposito occorre però essere consapevoli del fatto che la produzione di energia a partire da qualsiasi fonte, sia essa fossile, rinnovabile o fissile, presenta dei costi in termini ambientali e sociali.

L’ambito della discussione e della decisione

In questo dibattito che investe il futuro di tutti Paesi, l’Europa è ancora una volta assente a causa della sua divisione. Nella misura in cui il governo della politica energetica resta confinato nell’ambito nazionale, ciascuno Stato è portato a scaricare sul vicino i costi ed i rischi della produzione energetica e di mantenere per sé il massimo dei benefici, in funzione della tutela del proprio interesse nazionale – non importa quanto reale e quanto presunto. Si tratta di un comportamento già riscontrabile nella politica che stanno conducendo, tra gli altri, paesi come la Francia, la Germania, la Gran Bretagna e l’Italia. Per questo un reale dibattito anche sul futuro dell’uso dell’energia nucleare in Europa non potrà svilupparsi fino a quando esso non potrà avere una dimensione ed uno sbocco decisionale europeo. Ma, come dimostra il fallimento

dell’Euratom, che avrebbe dovuto porre le basi negli anni cinquanta del secolo scorso dell’emancipazione dei paesi fondatori della Comunità dalla dipendenza dei combustibili fossili importati da altri continenti, non basta la cooperazione fra i governi nell’ambito di istituzioni europee per affrontare efficacemente il problema: occorre far nascere uno Stato federale europeo che includa la politica energetica nel campo delle politiche dello sviluppo e della sicurezza degli Stati che decideranno di contribuire a crearlo.

 

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