Il dibattito che si è aperto in questi ultimi due mesi in Francia sulla ratifica della costituzione europea, in particolare tra i socialisti, ma non solo, è un segnale importante, perché inizia a porre, anche se in modo embrionale, il problema della necessità di rifondare l’Unione.

E’ chiaro infatti che, rispetto al confronto in atto nei paesi euroscettici – valga per tutti l’esempio della Gran Bretagna – il caso francese è profondamente diverso, sia perché si tratta di uno dei paesi fondatori, il cui NO avrebbe un effetto eclatante, sia perché il rifiuto è motivato dal desiderio di una maggiore integrazione, e non certo da un sentimento antieuropeo.

La Francia si trova indubbiamente in difficoltà in questa Europa allargata in cui il suo ruolo diventa marginale anche perché il gioco delle alleanze interne la penalizza fortemente e in cui la stessa direzione di marcia del processo di integrazione è radicalmente cambiata rispetto all’origine.

Larga parte del suo malessere deriva proprio dalla consapevolezza che nell’Unione a 25 è il disegno britannico a trionfare, disegno cui questa costituzione è perfettamente funzionale (come ha dichiarato Chris Patten commentando l’opposizione di Michael Howard alla costituzione europea “il Partito Conservatore britannico ha perso la bussola… Tutti gli altri (in Europa) pensano che questo Trattato sia un enorme successo della diplomazia britannica. Tutti lo credono – salvo noi… Perché Fabius e gli altri in Francia hanno iniziato la campagna contro il Trattato? Perché è troppo britannico”).

Le critiche maggiori in Francia vengono infatti mosse proprio sulle questioni in cui è più chiara l’impronta inglese: innanzitutto la scelta di non far progredire l’unione politica, e quindi il fatto di non volere un’“Europe-puissance” che invece continua ad essere l’aspirazione, benché ambigua, dei francesi con tutte le conseguenze che ne derivano sia in campo economico, fiscale e sociale che in materia di politica estera e di difesa. Nel primo caso la Gran Bretagna ha imposto il mantenimento di un diritto di veto che a 25 sarà ancora più paralizzante che in passato e che, nell’ottica francese, segna il fallimento della possibilità di un’Europa sociale, vale a dire un’Europa capace di governare i processi economici, di regolare il mercato e di rafforzare le difese sociali. Lo segna sia nel senso che il nuovo Trattato non darebbe all’Europa gli strumenti per attuare le politiche necessarie in questi campi, sia nel senso che in questo modo la Gran Bretagna impone una visione “liberista” all’Unione. Nel campo della difesa e della politica estera, invece, ciò che i francesi non riescono ad accettare è che il nuovo Trattato consacri la NATO come “il fondamento della difesa collettiva “dei paesi europei che ne sono membri (Art. I47, 7) e stabilisca come nuova missione militare dell’UE quella di “sostenere i paesi terzi per combattere il terrorismo sul loro territorio”. In questo modo gli inglesi e i loro alleati sono riusciti ad imporre all’Unione di formalizzare la dipendenza europea dagli americani nel campo della difesa. Ciò avviene a maggior ragione per il fatto che i pretesi passi avanti contenuti nel nuovo Trattato in questo settore costituiscono in realtà conferme di ciò che era già in cantiere – cioè quasi nulla rispetto alle responsabilità che dovrebbe assumersi l’Europa se volesse diventare autonoma. Mentre le cooperazioni rafforzate restano farraginose e, nei fatti, destinate al fallimento perché richiedono un larghissimo consenso da parte dei paesi contrari all’avanzamento specifico e un numero minimo di Stati per poter partire, numero che cresce con il numero dei membri totali dell’Unione e che è già troppo alto.

La costituzione, quindi, va contro l’idea, che i francesi continuano a cercare di far riemergere (e che in questo dibattito sulla costituzione vede insieme partigiani del SI come Balladur e quelli del NO), di un’Europa a cerchi concentrici che sviluppi intorno all’asse franco-tedesco un nucleo fortemente integrato e unito politicamente (l’Europe-puissance) formato dai paesi fondatori, se l’Italia vorrà aderirvi, insieme alla Spagna, se accetterà di entrarvi, e che mantenga un secondo cerchio con i paesi attuali dell’Unione e ne crei un terzo che stabilisca forme strutturate di partenariato con i paesi esterni all’Europa, come la Turchia e i paesi del Maghreb. E non solo la costituzione è contro tutto questo (e contiene un tentativo, oltretutto, di indebolire la coppia franco-tedesca, come ricorda Chévènement, perché per la prima volta sancisce una differenza di peso dei due paesi all’interno dell’Unione, mentre la parità è uno dei requisiti essenziali per una partnership duratura), ma in più è praticamente blindata per un numero indefinito di anni a venire dato che, in tutte le sue parti (anche in quelle che definiscono le politiche dell’Unione, non solo in quelle che riguardano le istituzioni e la Carta dei diritti), è emendabile solo all’unanimità con la successiva ratifica da parte di tutti gli Stati.

Le argomentazioni usate da chi pone il problema di “far fare un soprassalto” all’Europa rigettando questa costituzione e aprendo così una crisi “salutare” che permetta di ripensare il futuro dell’Unione riprendendo il progetto dell’unità politica sono quindi molto forti. E infatti i sostenitori del SI’ sono in grande difficoltà nel difendere questo testo che non piace a nessuno e che in ultima istanza si chiede di accettare solo per non mettere la Francia insieme agli euroscettici e per non rischiare di far cadere l’Europa nel caos.

Ma al tempo stesso la posizione del NO presenta la grande debolezza di non saper offrire alternative forti aprendo una crisi al buio, contando solo sul fatto che la costituzione, per molti dei punti rilevanti, entrerebbe in vigore nel 2009, che fino ad allora sarebbe comunque in vigore il Trattato di Nizza e che in questo intervallo di tempo si può riaprire la discussione e trovare l’accordo su un testo più avanzato. E’ chiaro che i sostenitori del NO pensano in questo caso ad un testo condiviso solo da un’avanguardia di paesi e quindi puntano alla realizzazione di una struttura a cerchi concentrici. Ma se questa ipotesi non viene posta chiaramente come alternativa all’assetto attuale dell’Unione sancito dalla costituzione, specificando soprattutto su quale base dovrebbe essere costituito il nucleo centrale, essa resta debole. I sostenitori del NO e di un’Europe-puissance non osano ancora battersi per l’unica vera alternativa, cioè la creazione di uno Stato federale europeo. Usano una terminologia ambigua sia a proposito dell’Europa sociale con cui nascondono a sé stessi il fatto che più materie in campo economico, fiscale e sociale regolate con il voto a maggioranza non farebbero un governo europeo e che l’Europa dovrebbe farsi Stato per poter essere governata e raccogliere le sfide della globalizzazione – che di quella politica, dove non vengono mai sfiorati dall’idea che gli Stati debbano cedere la propria sovranità.

Solo sulla base di una proposta radicale è possibile invece vincere questa difficile battaglia. Non è pensabile che gli Stati della “piccola” Europa, come qualcuno la chiama, possano rompere con gli altri membri dell’Unione senza un progetto politicamente e moralmente tanto forte da aprire nuovi orizzonti e da essere capace di ricostruire in nome di una nuova unità il rapporto con i paesi inizialmente scettici o contrari.

Se saprà far propria la battaglie per lo Stato federale europeo il fronte del NO immetterà nel processo europeo la proposta realmente in grado di rifondare l’Unione e quindi, che vinca o che perda, farà fare un salto decisivo alla lotta per l’unità dell’Europa. Altrimenti, rischierà di condurre una battaglia sterile perché risulterà incomprensibile per chi crede nell’Europa e soprattutto sarà incapace di dare frutti in futuro.

 

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