Né gli USA né l’ONU sono in grado di imporre le condizioni per il ritorno alla convivenza pacifica in Iraq, né di porre le basi per rendere sicura la regione. Il dopoguerra iracheno si annuncia perciò foriero di nuove e più gravi crisi.

La fulminea e relativamente facile presa di Bagdad sembrava dar ragione a coloro i quali avevano previsto una altrettanto rapida ricostruzione dell’Iraq e la sua trasformazione in un paese modello per il resto del mondo arabo sotto l’ala USA. Alla luce degli sviluppi successivi, questa previsione si è rivelata errata. Già nell’estate del 2003 le truppe americane e della coalizione hanno dovuto fronteggiare una crescente ostilità delle varie fazioni irachene e prendere atto sul campo dell’inadeguatezza dei mezzi a loro disposizione per svolgere tutti quei compiti che, prima della guerra, anche in un paese povero e dalle strutture arcaiche come l’Iraq, erano assolti da un’amministrazione statale articolata e attiva su gran parte del territorio.

Questa amministrazione è stata sconsideratamente e frettolosamente smantellata dagli americani. Gli attentati, i sabotaggi, i rapimenti, le uccisioni sommarie compiuti dalla guerriglia irachena da una parte, la continuazione delle operazioni militari, i rastrellamenti, i bombardamenti, gli assedi, le brutalità contro i prigionieri dall’altra, il tutto documentato e diffuso con ogni mezzo di comunicazione da entrambi gli schieramenti allo scopo di intimidire, terrorizzare, ricattare i ne mici, testimoniano di un dopoguerra ancora più violento della guerra che lo ha preceduto e che, nel breve, può solo degenerare ulteriormente. In una simile situazione nessun governo provvisorio o di transizione iracheno potrà mai gestire la riconciliazione e la ricostruzione nel paese: in Iraq occorre rifondare lo Stato, non semplice mente cambiare regime.

Ma nessuno in questo momento sembra voler perseguire davvero questo obiettivo. Non lo voglio no perseguire i guerriglieri iracheni, uniti solo dal comune odio contro gli americani. Lo desiderano tiepidamente i paesi confinanti, che sono interessati a mantenere un Iraq debole ed influenzabile. Non vuole e non può perseguirlo la comunità internazionale, divisa tra chi spera di vedere umiliati gli USA.

 

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