L'esito del referendum scozzese, con il quale il 55,3% dei votanti ha rifiutato l'indipendenza della nazione, rischia paradossalmente di aprire un vero e proprio “Vaso di Pandora” istituzionale, i cui esiti, ancora aperti, contemplano anche la possibilità di una federalizzazione del Regno Unito. La promessa di Cameron e di tutto lo schieramento unionista di una maggiore devoluzione verso Holyrood in caso di vittoria del No è considerata da molti commentatori e politologi come decisiva per l’esito finale della consultazone, sebbene non risulti essere molto gradita al resto dei sudditi di Sua Maestà. Il Galles e l'Irlanda del Nord cominciano a chiedere gli stessi trattamenti riservati alla Scozia (oltre all'upgrade delle loro assemblee nazionali a parlamento, come quello scozzese) mentre  i più irritati da questa situazione risultano essere proprio i cittadini dell'Inghilterra. Alla stragrande maggioranza dei cittadini inglesi non piace l'idea di una semplice maggiore devoluzione per gli scozzesi senza che questa implichi una riforma istituzionale interna.

Il punto centrale è proprio la West Lothian Question (West Lothian è un collegio elettorale scozzese): l'Inghilterra non ha un proprio parlamento nazionale, in quanto è Westminster che svolge quella funzione, il quale è al tempo stesso parlamento di tutto il Regno Unito. I deputati scozzesi eletti ai Comuni possono votare leggi riguardanti l'Inghilterra, mentre i parlamentari inglesi non possono votare sulle questioni scozzesi, dal momento che non è prevista, né è prevedibile una rappresentanza inglese al parlamento di Edimburgo. Ciò risulta inaccettabile a molti inglesi, dal momento che i MP scozzesi possono votare su questioni che non riguardano i loro collegi elettorali. Qualora dovesse realizzarsi una maggiore devoluzione verso la Scozia in assenza di una soluzione alla West Lothian Question, è prevedibile che gli screzi tra Scozia e Inghilterra siano destinati a crescere, così come nel caso di una maggiore devoluzione verso Galles e Irlanda del Nord. A quel punto si avrebbe un'estensione del problema anche alle altre due nazioni.

La proposta meno rivoluzionaria sarebbe quella di vietare ai parlamentari scozzesi di votare sulle questioni riguardanti l'Inghilterra al parlamento di Westminster, in cambio di una maggiore devoluzione. Lo stesso verrebbe imposto ai deputati gallesi e nord-irlandesi nel momento in cui dovesse aumentare la devoluzione verso le loro assemblee nazionali. Tuttavia, sebbene questa soluzione sia la “meno costosa” in termini di riforme costituzionali richieste, è tutto da stabilire se ci siano effettivamente i margini costituzionali per farlo e soprattutto se ci sia una volontà politica effettiva, dal momento che la Scozia, come il Galles, è da anni un serbatoio di voti per il Labour.

In tale prospettiva, si sta facendo strada l'idea di creare un parlamento inglese, diverso e separato di quello di Westminster. Il Parliament of England (che non sarebbe da escludere che potrebbe risiedere in una città diversa da Londra) avrebbe lo stesso tipo di competenze di Cardiff o di Edimburgo, mentre Westminster in quest'ottica diventerebbe un parlamento sovrano sulle questioni tipiche di uno Stato federale: infrastrutture, fiscalità federale, moneta, difesa e politica estera. Tuttavia una simile proposta rischierebbe di creare diversi problemi: primo tra tutti il fatto che il parlamento d'Inghilterra sarebbe con molta probabilità un contraltare di Westminster su una vasta gamma di aree d'intervento, dal momento che sarebbe il parlamento di circa l'84% della popolazione dell'intero Regno Unito. Inoltre, porrebbe le basi per un federalismo enormemente asimmetrico, dal momento che l'Inghilterra da sola avrebbe di fatto un potere di veto fortissimo. Sarebbe una situazione per certi versi molto simile al secondo impero tedesco, dove la Prussia esercitava un potere immensamente maggiore rispetto agli altri Stati e esercitava un potere di veto schiacciante all'interno del Reich.[1]

Un'altra proposta prevede una forma di federalismo basata sulla regionalizzazione dell'Inghilterra, che anziché avere un unico parlamento inglese avrebbe tra i sette e i nove parlamenti locali. In tal modo, si avrebbero delle unità federali più o meno tutte delle stesse dimensioni e con competenze analoghe e simmetriche. La Gran Bretagna così divisa eviterebbe dei conflitti tra un singolo parlamento nazionale e il parlamento federale di Westminster, in quanto nessuno di questi avrebbe una massa critica tale da poter “sfidare” Westminster o porre veti insormontabili.

Questa proposta di federalismo attraverso la regionalizzazione dell'Inghilterra, fino a qualche tempo fa  non sembrava trovare molto consenso tra i cittadini inglesi. Le regioni infatti sono sempre state delle entità più simboliche che effettive. I tradizionali “enti locali” britannici sono sempre state le contee (Counties) e le parrocchie (Parishes), mentre in un periodo più recente sono stati introdotti i distretti (Districts). Le regioni sono state introdotte solo recentemente, a partire dal 1994, per scopi statistici e per adempiere ad alcuni obblighi legati all’appartenenza alla UE. Un tentativo di devolution regionale fu fatto circa dieci anni fa da Tony Blair, che a seguito della devolution verso le altre tre nazioni del Regno Unito si impegnò alla creazione di assemblee regionali, per avviare la devolution anche verso le regioni inglesi. Tuttavia, tale proposta venne bocciata nel 2004 proprio dagli elettori della regione del Nord-Est, regione che era stata scelta dal governo Blair per la sperimentazione del nuovo assetto. Alla proposta referendaria di creazione di un vero parlamento regionale con poteri autonomi, il 77% circa del 49% degli aventi diritto rispose con un “No, thanks”, mortificando così il tentativo blairiano. Il governo Brown, assieme al governo di coalizione Lib-Con ha inoltre contribuito non poco a indebolire gli enti regionali, abolendo i nuclei di assemblee regionali costituiti fino ad allora, lasciando le regioni solo ed esclusivamente come unità statistiche. Ciò nonostante è vero che le condizioni cambiano molto velocemente e oggigiorno, complice la crisi, anche tra le fila dei più conservatori si fa strada l'idea che il Regno Unito sia troppo “London-centred” e che una qualche forma di ridistribuzione sia auspicabile, anche per dare ad altri centri locali delle possibilità in più rispetto alla capitale.

Il dibattito è completamente aperto. Molti costituzionalisti sostengono che nella storia britannica non ci sia mai stato qualcosa di analogo e che quindi una simile riforma debba necessariamente implicare l'introduzione di una costituzione scritta - nella quale fissare le competenze di ogni livello di governo - e la riforma della camera dei Lords, che nello scenario di una federalizzazione diventerebbe una sorta di Senato federale, con i Lord trasformati in Civil Servants scelti dai parlamenti nazionali o regionali.

Nonostante il federalismo sia un'invenzione della cultura britannica, i cittadini britannici non sono mai stati storicamente dei sostenitori di questa forma di organizzazione dello Stato, non solo a livello europeo, ma neanche al proprio interno; diverse fasce della popolazione lo vedono come una complicazione dell'assetto costituzionale britannico e come un sistema potenzialmente distruttivo. Tuttavia l'esito del referendum scozzese, per quanto positivo per l'unità del regno, è il campanello d'allarme di un malessere interno molto forte che necessita di essere affrontato e di una società che sta diventando più complessa e sta cambiando nelle esigenze di rappresentanza e nella richiesta di centri di potere più forti e più vicini alla propria dimensione quotidiana. In questo senso il referendum riapre la questione della ripartizione delle competenze e del potere ai diversi livelli di governo; e in questo quadro, non solo il federalismo britannico merita un'occasione per la costruzione una Gran Bretagna più stabile, ma diventa centrale anche la questione di una ripartizione complessiva di competenze dal livello di governo europeo a quello locale e viceversa, secondo dei criteri di scala e di razionalità sia economica, sia politica. In modo forse imprevisto, la questione scozzese porta con sé anche la necessità di ragionare sul futuro dell’assetto europeo, ed in particolare, per il Regno Unito di chiarire come vuole porsi nei confronti della creazione di un potere genuinamente federale a livello dell'eurozona: un passaggio ineludibile per i paesi euro per garantire la stabilità, il ritorno della fiducia nelle istituzioni democratiche e il ritorno alla crescita economica; ed un passaggio con cui la UK dovrà fare i conti sia per definire i rapporti che intende sviluppare con questa nuova realtà politica, sia per riorganizzarsi internamente tenendo conto del nuovo quadro europeo.



[1]    Hung, Jochen. Federalism works in Germany but may not in Britain. The Guardian. 22/09/2014 http://www.theguardian.com/commentisfree/2014/sep/22/federalism-germany-britain-federal-system-uk

 

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