“No a un’Unione europea dei muri”. Sono le parole del presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker in un recente intervento sul giornale Die Welt. Ma quali sono le cause che lo hanno spinto a fare questa dichiarazione, dopo 26 anni dalla caduta del muro di Berlino?

In questi giorni, stiamo assistendo ad un drammatico aumento di migranti che giungono in Europa sia attraverso il Mar Mediterraneo sia attraverso la “rotta balcanica”. Le motivazioni che costringono i migranti a lasciare la propria terra sono le solite: guerre, povertà, persecuzioni, fame, malattie. In particolare però, oggi, la crescita dei flussi migratori è legata alla guerra in Siria e alla situazione drammatica di caos in Medio Oriente, che a sua volta ha portato alla nascita e all’espansione dell’ISIS, e al vuoto politico lasciato dalle primavere arabe. Questi due fenomeni hanno creato, da un lato, milioni di profughi in territori che erano già in condizioni critiche e, dall’altro, hanno prodotto instabilità o addirittura anarchia, come in  Libia, dove in questo momento non esiste un governo in grado di contrastare l’operato degli scafisti sul territorio.

L’improvviso aumento dei flussi migratori ha messo in crisi gli Stati europei più esposti. Le legislazioni in vigore nell’Unione europea e le strutture organizzate dai singoli paesi si sono rivelate del tutto inadeguate a fronte dei numeri e della frequenza degli arrivi, e ciò ha generato delle situazioni pericolose prima di tutto per i migranti stessi.

Sono più di due anni che l’emergenza si è manifestata nella rotta migratoria che prevede l’attraversamento del Mar Mediterraneo. Qui l’aumento del numero dei barconi aveva messo costantemente a dura prova il soccorso in mare (tutti ricordiamo la strage di Lampedusa nell’ottobre 2013 che costò la vita a 366 migranti). Inoltre, anche una volta raggiunta la terra ferma, i tempi impiegati dalle autorità locali per l’identificazione di ogni migrante si sono subito dimostrati troppo lunghi. In molti casi i migranti sono stati costretti ad aspettare all’interno dei centri di accoglienza sempre più affollati e inadatti a  garantire l’assistenza a tutti. Andando contro il trattato di Dublino, è capitato che, per risolvere il problema del sovraffollamento dei centri, i paesi europei di confine abbiano permesso a gruppi di migranti non ancora identificati di attraversare il territorio nazionale per andare a chiedere asilo in un altro Stato europeo (il trattato prevede invece che, una volta accertato che il migrante risponde a tutti i requisiti per essere accettato, deve essergli concesso l’asilo nel primo paese europeo che ha raggiunto). È il caso dell’episodio avvenuto nel giugno 2015 a Ventimiglia. L’Italia ha tentato di trasferire centinaia di migranti in Francia senza averli prima identificati, in modo che una volta raggiunto il territorio francese potessero essere identificati lì e quindi fare richiesta d’asilo in Francia. Ovviamente la Francia non ha accettato.

La seconda rotta migratoria (la cosiddetta “rotta balcanica”), che prevede l’attraversamento della Turchia, della Grecia e dei Balcani fino a raggiungere l’Europa del Nord, è balzata agli onori della cronaca solo in queste ultime settimane. La percorrono i profughi che scappano dai teatri di guerra siriani, iracheni, afghani. Pur non prevedendo necessariamente il rischio di una lunga traversata marittima su barconi di fortuna, la rotta balcanica non è meno pericolosa. I migranti percorrono migliaia di chilometri, attraversando più paesi, spesso camminando lungo la linea ferroviaria. In genere sono le organizzazioni criminali che forniscono indicazioni e mezzi per spostarsi. E una volta arrivati in Europa, il rischio peggiore è quello di non riuscire a raggiungere i paesi in cui hanno familiari o parenti, o in cui sanno che riceveranno accoglienza e potranno tentare di ricostruirsi una vita dignitosa. Bulgaria, Macedonia e Ungheria hanno infatti dispiegato la polizia lungo i propri confini per respingere i migranti. Nel confine fra l’Ungheria e la Serbia, il governo ungherese guidato da Orban ha eretto un muro che dovrebbe servire a tenere fuori dal proprio territorio i migranti, ed ha intenzione di costruirne uno anche nel confine con la Croazia. Ha inoltre varato una legislazione di emergenza che prevede addirittura pene detentive per i profughi trovati sul territorio ungherese senza regolare permesso. Ha schierato l’esercito a difesa dei propri confini; recentemente ha suscitato grande clamore il fatto che esercito e polizia abbiano usato idranti e gas lacrimogeni contro i  migranti.

Ed ecco quindi le ragioni delle parole di Juncker. Il Presidente della Commissione europea ha voluto condannare la decisione di erigere nuovi muri in Europa, che non sono solo muri di cemento o di rete metallica, ma anche muri psicologici che ogni giorno le forze politiche estremiste costruiscono istigando i propri cittadini contro gli immigrati. Queste forze minacciano i pilastri su cui è fondata l’idea stessa di Europa, innanzitutto la solidarietà e la libertà di circolazione. Se è vero che non è possibile aprire le porte a chiunque voglia entrare in Europa, è altrettanto vero che il problema dell’immigrazione non si risolve chiudendo le frontiere e lasciando morire migliaia di persone.

Come ha ribadito lo stesso Juncker, nessuno Stato membro dell’UE può risolvere da solo il problema dell’immigrazione, che ha cifre insostenibili per ogni singolo paese. E come europei siamo ormai troppo interdipendenti anche per sperare di scaricare la questione sugli altri. Il muro che l’Ungheria ha eretto sul confine con la Serbia ha costretto i migranti ad attraversare altri Stati europei come la Croazia; ma anche la Germania, che ha aperto i confini a tutti i siriani, ha dovuto poi contingentare gli ingressi, perché i flussi erano insostenibili.

Nel  discorso sullo stato dell’Unione tenuto al Parlamento europeo il 9 settembre scorso , Juncker ha ricordato che nell’ultimo anno sono arrivati in Europa mezzo milione di migranti e, sebbene il numero sia enorme, essi costituiscono solo lo 0,11% della popolazione dell’UE. Questo dato ci fa capire come l’immigrazione sia in realtà un problema facilmente gestibile se ad occuparsene fossero le istituzioni europee. Istituzioni però che possono essere create o rafforzate solo dai governi degli Stati nazionali membri dell’UE. È questo il vero nocciolo del problema: per risolvere il problema dell’immigrazione serve che gli Stati nazionali facciano un sacrificio e cedano la loro sovranità  in materia di immigrazione all’Europa. Per questo motivo Juncker, nel discorso sullo stato dell’Unione, ha richiamato il concetto di unione e di solidarietà. Fino ad oggi quando si parla di politiche di immigrazione, ha sempre prevalso il nazionalismo. È ora di cambiare.

La via indicata da Juncker  è quella di creare un meccanismo di redistribuzione dei migranti fra tutti i paesi dell’UE. Il meccanismo si baserebbe su delle quote obbligatorie di migranti che ogni Stato deve accogliere.

Questo meccanismo proposto è un passo avanti verso una gestione più europea. La distribuzione fra tutti i paesi coinvolgerebbe anche quelli che per motivi geografici non sono toccati dall’emergenza e quindi diminuirebbe il numero di migranti da accogliere nei paesi di confine. Per metterlo in atto, è necessario comunque modificare il trattato di Dublino. Il lato negativo è, invece, che con questo meccanismo non viene raggiunta comunque la totale gestione del problema a livello europeo. Infatti, la ricerca in mare dei migranti, l’accoglienza e l’identificazione, pur venendo inserite in un quadro coordinato a livello europeo, sarebbero ancora di competenza degli Stati nazionali, cui spetta anche la maggior parte dell’onere dei costi delle operazioni. A maggior ragione in questa fase di crisi, è facile capire come per alcuni Stati sia impossibile garantire un servizio adeguato rispetto alla situazione.

Neppure questo meccanismo, comunque, è accettato da tutti. Alcuni Stati nazionali, prevalentemente dell’Est, non vogliono assumersi il peso della quota obbligatoria. Un classico esempio di come gli interessi nazionali vengano posti davanti all’interesse generale.

Per questo è chiaro che, sebbene il meccanismo, come già detto, sia un passo avanti, l’unica vera soluzione al problema è quella in cui gli Stati nazionali cedono la loro sovranità all’Europa per formare una Federazione europea. Oltre a poter gestire in modo più efficace l’emergenza dell’immigrazione, si potrebbe contrastare il problema alla radice. Con una vera politica estera europea decisa dalla Federazione si potrebbe contribuire ad evitare il nascere di nuove crisi nei territori che ci circondano, evitando l’aumento del numero dei migranti.

Inoltre, con una vera legislazione europea in materia di immigrazione, non si dovrebbe più assistere ad episodi come quello di Ventimiglia, e sarebbe più facile integrare i migranti nella nostra società. Spesso sono le leggi nazionali stesse a fare dell’immigrazione un problema: si pensi al reato di clandestinità che invece di rendere più sicuro il territorio nazionale, costringe i migranti a vivere all’ombra dello Stato e a favorire il lavoro in nero e le organizzazioni criminali.

In conclusione, anche se si può concordare con la posizione di Juncker, sarebbe stato ancora meglio: “No a un’Unione europea dei muri, si alla Federazione europea!”.

 

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