Il 22 settembre si è riunito a Bruxelles il Consiglio straordinario dei 28 Ministri dell’Interno dell’Unione europea. In questa occasione, è stata approvata la proposta avanzata dalla Commissione europea di ricollocare in 24 mesi 120.000 rifugiati che avevano raggiunto la Grecia, l’Italia e l’Ungheria. La votazione, rispetto alla normale prassi del Consiglio, è avvenuta a maggioranza qualificata, in quanto non si è riusciti a raggiungere nei giorni precedenti un accordo unanime fra i 28 ministri. Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca e Romania si sono opposte al sistema di ricollocamento ed in particolare alle quote obbligatorie.

La risoluzione sostenuta dal Presidente della Commissione Jean-Claude Juncker è stata dunque approvata, ma con questo non si può certo pensare che il problema dell’immigrazione sia risolto.

In primo luogo ha suscitato comunque molte polemiche la decisione di non votare all’unanimità ma a maggioranza qualificata. Poche volte il Consiglio ha deciso di votare in questo modo poiché quando non è stato in grado di raggiungere l’unanimità ha spesso preferito non votare e rimandare la votazione. Una decisione presa senza unanimità rischia di minare la già fragile stabilità politica della confederazione. Nella misura in cui gli Stati rimangono sovrani, è difficile obbligare dei membri ad accettare decisioni su cui non concordano. In questo caso però, i tempi dettati dall’emergenza hanno costretto il Consiglio a scegliere la rottura, dimostrando, da un lato, come il meccanismo decisionale solitamente utilizzato nel Consiglio, ossia il voto all’unanimità, impedisca di dare delle risposte efficaci e repentine alle sfide cui l’Europa è chiamata a rispondere; ma anche evidenziando, dall’altro, la divisione politica interna all’UE, l’incapacità di trovare un accordo tra i 28 stati su un tema così delicato quanto importante e quindi, in definitiva, la mancanza di un sistema di governo europeo in grado di esprimere una visione e una strategia comune.

L’assenza di una decisione unanime lascia dunque aperti molti interrogativi. Chi si è opposto alla redistribuzione con le quote obbligatorie accetterà comunque di accogliere la propria quota di rifugiati? Cosa ne sarà di quelle persone che verranno assegnate a Ungheria, Slovacchia, Repubblica ceca e Romania? Ovviamente si spera nella serietà di questi Stati, ma l’assenza di una vera leadership europea, che riesca a far prevalere l’interesse collettivo quando c’è da prendere una decisione e che faccia rispettare gli impegni presi, lascia questi interrogativi senza risposta.

Un’altra riflessione va fatta sui numeri sui quali il Consiglio ha discusso. La risoluzione prevedeva il ricollocamento di 120.000 rifugiati ma l’OCSE ha previsto che nel 2015 le richieste di asilo in Europa toccheranno il milione. È ovvio che l’UE non può rispondere a questa emergenza litigando ogni volta per distribuire qualche migliaio di rifugiati. Serve necessariamente un piano definitivo.

Un piano che la Commissione europea ha già e che sta tentando di mettere in pratica. Questo prevede di “recuperare il controllo delle frontiere europee” frenando gli arrivi. La Commissione creerà un fondo con lo scopo di finanziare entro la fine di novembre i paesi extraeuropei da cui giungono i migranti. I soldi serviranno per creare dei campi in cui accogliere i rifugiati, intercettandoli così prima che raggiungano le frontiere europee.

L’accordo preso con la Turchia in questi giorni è una dimostrazione di questa strategia. Prevede la costruzione di sei campi profughi sul territorio turco, finanziati in parte da Bruxelles, che potranno ospitare fino a due milioni di persone. Di questi due milioni, l’UE se ne farà carico direttamente per mezzo milione, evitando così che i migranti continuino il loro disperato viaggio attraverso i Balcani.

Inoltre, entro novembre, si prevede di rendere operativi in Italia e in Grecia dei centri di accoglienza (i cosiddetti hotspots) in cui possono essere raccolte le impronte digitali dei profughi allo scopo di registrare la loro presenza sul territorio europeo e di valutare l’idoneità per la richiesta di asilo. Nella maggior parte dei casi, gli hotspots nasceranno nei centri di accoglienza già operativi. La gestione di questi centri sarà affidata principalmente alle agenzie europee che si occupano di immigrazione, diritti di asilo e sicurezza e in piccola parte alle autorità nazionali. Proprio il punto della gestione europea degli hotspots non piace ai paesi che li dovranno ospitare poiché la vedono come un affronto alla loro sovranità nazionale.

Sempre entro novembre è prevista l’attivazione del meccanismo di ridistribuzione e rimpatrio di quelle persone che non hanno diritto di asilo. In questo caso le spese di rimpatrio sono divise fra tutti i paesi membri. La Commissione si è anche impegnata a presentare entro la fine dell’anno una riforma di Frontex per trasformare l’agenzia in un vero e proprio corpo europeo di controllo delle frontiere terrestri e marittime.

La Commissione europea ha quindi ideato un piano che può portare a dei risultati concreti. Ma il successo di questo piano non dipende solo dalla volontà della Commissione. Abbiamo già visto durante la votazione sulla redistribuzione dei rifugiati come gli Stati nazionali possano ostacolare il piano. Oppure stiamo vedendo in questi giorni le resistenze di Italia e Grecia sull’attivazione degli hotspots.

L’unica via per fare in modo che questo piano si applichi totalmente e in modo efficace sarebbe quello di attribuire all’Europa poteri diretti nelle materie in questione, bypassando gli Stati che sono portati a  concentrarsi sul proprio interesse nazionale a discapito di quello collettivo. Una vera leadership europea garantirebbe risposte immediate all’emergenza di oggi e a quelle future, basandosi su risorse europee e non su quelle nazionali, che sono troppo limitate per affrontare l’emergenza.

Anche la questione umanitaria dei migranti dimostra quindi che solo con la creazione di una Federazione europea si potrà rispondere in modo positivo alle crisi che ci coinvolgono: dalla crisi economica all’emergenza immigrazione, dalla lotta al terrorismo alla crisi energetica.

 

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