Nel contesto internazionale che si è creato con la fine della guerra fredda in seguito al crollo del sistema bipolare sono venuti meno gli equilibri che hanno mantenuto stabile la situazione mondiale per mezzo secolo.

Oggi nuove potenze regionali e mondiali si affacciano sulla scena, reclamando per motivi diversi un proprio arsenale atomico, destabilizzando ulteriormente aree già a rischio come il Medio e l’Estremo Oriente.

Il fallimento del Trattato di non proliferazione

Durante la guerra fredda l’accumulo di armamenti atomici da parte delle due superpotenze (USA e URSS) trovava la sua giustificazione nella dottrina della distruzione reciproca assicurata e nell’equilibrio del terrore.

Nel 1970 Stati Uniti d’America, Unione Sovietica, Cina, Gran Bretagna e Francia, cioè i paesi già in possesso di armi nucleari (e che non per caso siedono come membri permanenti nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU) sancirono il loro diritto esclusivo a possedere armamenti atomici con il Trattato di non proliferazione, che legittimava gli arsenali di quegli Stati che avevano compiuto esperimenti nucleari prima del 1967.

Il trattato, firmato da tutti i paesi legati al sistema di alleanze dei due blocchi, non ha tuttavia impedito a quegli Stati che hanno voluto dotarsi di un deterrente atomico di perseguire i propri piani nucleari, sia allo scopo di aumentare il proprio peso negli equilibri regionali e internazionali, sia perché non si sentivano adeguatamente protetti dagli alleati. E’il caso di India, Pakistan, Sudafrica (unico paese ad aver poi rinunciato al proprio arsenale), che hanno visto nell’atomica il segno distintivo della grande potenza, o di Israele, che, sentendosi costantemente minacciato dai vicini, si è armato (con l’aiuto informale degli Stati Uniti). L’Onu ha accettato passivamente tutto ciò, constatando il fatto compiuto.

Dopo l’11 settembre non solo alcuni Stati, ma perfino gruppi terroristici come alQaida hanno manifestato la volontà di utilizzare armi di distruzione di massa cercando di rifornirsi dal vastissimo e mal custodito arsenale della Russia postsovietica.

Bisogna quindi constatare che la ripresa della corsa agli armamenti e il rischio della proliferazione nucleare non possono essere controllati nel quadro del Trattato per la non proliferazione, ma solo attraverso l’instaurazione di un diverso ordine mondiale, come ben dimostrano i casi dell’Iran, della Corea del Nord, del Giappone, del Brasile e la stessa situazione europea.

Iran

L’attacco americano all’Iraq è stato certamente uno dei motivi che ha portato l’Iran ad accelerare i propri programmi nucleari, che permetterebbero al paese di raggiungere la piena indipendenza energetica ma anche di costruire la arma atomica in breve tempo.

Il presidente Ahmadinejad ha ripetutamente respinto con veemenza le accuse di voler perseguire una politica di riarmo nucleare e ha sempre ribadito la sua denuncia nei confronti di quei paesi che usano il nucleare non solo a scopi pacifici ma anche per minacciare gli altri popoli (la critica era volutamente rivolta ai suoi principali accusatori, gli USA e Israele).

Inutilmente Gran Bretagna, Francia e Germania hanno tentato di spingere l’Iran a un compromesso: questi Stati non sono in grado di offrire alcuna garanzia in termini di sicurezza regionale né all’Iran, né a Israele.

Estremo oriente

Nell’Asia orientale abbiamo assistito in queste settimane a una costante escalation della tensione. Da un lato la Repubblica Popolare di Corea ha dato una dimostrazione di forza con l’esplosione del primo ordigno nucleare, pochi giorni dopo il lancio di un vettore missilistico sperimentale in grado di raggiungere gran parte delle coste del Pacifico. A nulla sono valse le mediazioni di Cina e USA, cha avevano fornito tecnologie per il nucleare civile al regime di Pyongyang nella vana speranza di evitare uno sviluppo autonomo a scopi bellici.

Dall’altro lato il governo giapponese ha incominciato a rivendicare il diritto del Giappone a possedere armi nucleari per “autodifesa”. Certo non si è ancora arrivati a una precisa intenzione di dotarsi degli armamenti nucleari, ma virtualmente il Giappone è già una potenza nucleare, in quanto è dotato delle tecnologie, delle conoscenze, dei vettori (statunitensi) e dei centri di trattamento del materiale fissile indispensabili alla produzione di bombe nucleari e termonucleari: l’unico paese ad aver subito un attacco nucleare è in grado di procedere ad un esperimento nucleare in meno di un mese.

Gli Stati Uniti, per voce del presidente Bush, hanno dichiarato al forum dell’Apec che non sarebbero disposti ad accettare lo sganciamento del Giappone dall’ombrello atomico americano, ma è ormai evidente che non possono più presentarsi come i garanti della sicurezza degli alleati nella regione.

Europa

In questo quadro i paesi europei si muovono in ordine sparso. La Gran Bretagna è ormai indissolubilmente legata, anche sul piano della deterrenza nucleare, alle facilitazioni fornitegli dagli USA. La Francia cerca di mantenere il proprio status di media potenza nucleare europea indipendente e, a distanza di 10 anni dagli ultimi e contestatissimi esperimenti a Mururoa, testa i nuovi vettori missilistici strategici M51 capaci di raggiungere obiettivi siti a oltre 8000 chilometri dalle coste atlantiche francesi. Il tentativo è quello di accreditarsi come potenza protettrice dei vicini europei, Germania in primo luogo. Ma a questo proposito il governo tedesco non si è mostrato entusiasta della prospettiva di mettere il proprio paese sotto l’ala protettrice dell’arsenale atomico dell’Armée.

Le prospettive future

Nel prossimo futuro, anche a seguito della crescente richiesta di energia, è inevitabile la diffusione dell’impiego delle tecnologie nucleari per usi civili. Questo aumenterà la tentazione da parte di molti paesi di sviluppare anche dei programmi nucleari in campo militare.

Per cercare di ridurre questo rischio, alcuni Stati, come gli USA, puntano allo sviluppo di nuove tecnologie e nuovi accordi, come la Global Nuclear Energy Partnership (GNEP). Gli obiettivi di questa strategia sono di promuovere l’espansione dell’utilizzo dell’energia nucleare civile, focalizzandosi sul miglioramento del consumo del combustibile, sullo smaltimento e il trattamento delle scorie, sul controllo del trasferimento delle tecnologie nucleari, ma cercando di sviluppare sistemi che impediscano l’estrazione del plutonio puro e che rendano il più possibile difficile l’utilizzo bellico e l’ottenimento di materiali per scopi militari.

L’efficacia di una simile politica che si pone nell’ottica di offrire un’alternativa concreta dal punto di vista energetico anche agli Stati in via di sviluppo preservandosi dalla minaccia della proliferazione delle armi nucleari è tuttavia smentita dai fatti: è sotto gli occhi di tutti come, in nome della politica di potenza, gli USA non abbiano esitato a ripristinare la collaborazione sul piano nucleare con l’India; oppure come la Russia non disdegni di collaborare con l’Iran e come la Cina non cessi di collaborare sul piano nucleare con alcuni paesi africani e dell’America latina.

Per questo si può affermare, per quanto riguarda la proliferazione nucleare, che il problema ormai non è più se e come qualche altro Stato si doterà nel prossimo futuro dell’armamento atomico, ma in quale sistema mondiale di Stati questo fenomeno si svilupperà. Ed è un dato di fatto che, sotto questo profilo, l’assenza di un polo europeo è destinata ad aggravare gli squilibri di potere nel mondo e a contribuire alla creazione di pericolosi vuoti che accelereranno il timetable della corsa al riarmo, convenzionale e non.

Per questo è indispensabile che alcuni Stati europei, in particolare la Francia e la Germania, cessino di affrontare il problema della sicurezza militare in termini puramente nazionali o di semplice cooperazione intergovernativa e comincino a porre le basi per creare uno Stato federale europeo. Solo così potrà nascere un polo europeo capace di influenzare gli equilibri mondiali e di contribuire al controllo delle minacce che mettono a repentaglio la sicurezza del pianeta.

 

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