L’UEF – intesa qui come l’insieme delle sezioni  che la compongono e non tanto come organi dirigenziali – è arrivata al Congresso di Parigi con la consapevolezza di dover riaprire un nuovo capitolo della propria strategia, dato che le analisi e le scelte compiute negli anni precedenti si erano esaurite. Anche la campagna “Who is your candidate?” approvata nelle ultime riunioni istituzionali in vista delle elezioni europee del 2009, essendo un’azione destinata ad esaurirsi nel giro di pochi mesi, non eliminava certo il problema di pensare un’azione quadro più strutturale.

Pur non avendo mai condiviso la campagna per lo Stato federale europeo rivolta ai paesi fondatori, molti nell’UEF l’hanno sempre considerata con stima, come una sorta di “riserva strategica” che permetteva all’organizzazione – che nel frattempo scommetteva sull’evoluzione in senso “federale” dell’UE – di mantenere sul campo l’opzione federalista più radicale (lo Stato federale) e di identificare il quadro strategico alternativo (un’iniziativa da parte di un gruppo ristretto di paesi al di fuori dei trattati esistenti) nel caso di fallimento dei tentativi di riforma dell’Unione.

A fronte degli effettivi fallimenti dei tentativi di riformare l’UE e quindi della sconfitta della linea adottata dall’UEF, l’esigenza di “ufficializzare” l’accoglienza della linea per il “nucleo federale” in seno all’UEF si è fatta molto forte, soprattutto in alcune sezioni nazionali. Una parte degli esponenti dell’UEF ha anche iniziato a condividere pienamente l’idea che l’obiettivo federale è perseguibile solo con un’iniziativa da parte di un gruppo di paesi membri al di fuori dei trattati esistenti; molti hanno semplicemente apprezzato l’esigenza di una strategia più “radicale” (che tornasse rivendicare la pienezza dell’obiettivo della Federazione europea). Ma anche coloro (soprattutto i tedeschi di Europa Union) che non condividono l’analisi del gruppo che fa capo al Comitato per lo Stato federale europeo – nel senso che ritengono troppo azzardato impegnarsi in un’azione che si pone al di fuori delle istituzioni europee esistenti e prediligono, rispetto alla richiesta della Federazione europea, il rafforzamento dell’attuale quadro dell’Unione – hanno dovuto approvare la mozione che apriva la via all’accettazione di questa strategia, perché da parte loro non potevano sostenere nient’altro che la rivendicazione dell’approvazione del Trattato di Lisbona il più rapidamente possibile, ed erano quindi consapevoli che l’intera UEF non avrebbe accettato di limitarsi a questo impegno “paragovernativo”.

L’adozione consapevole e voluta, sancita poi dall’unanimità con cui è stata approvata la mozione finale, di una “dual track strategy”, è maturata in questo contesto. Con l’espressione “dual track strategy”si intende la netta distinzione tra le iniziative che mirano ad una miglioramento/riforma dell’Unione europea (tra cui rientrano la richiesta dell’approvazione del Trattato di Lisbona e la campagna “Who is your candidate?”) e quelle volte a perseguire l’obiettivo della federazione europea che devono avere come riferimento non l’Unione nel suo complesso ma un gruppo di paesi “willing to do so”. L’accettazione di questo sdoppiamento della strategia  è stata preparata dal lungo confronto che si è svolto in tutti questi anni e ha ricevuto in una riunione precongressuale, formalmente convocata dall’UEF a Bruxelles due settimane prima del Congresso di Parigi, l’imprimatur sostanzialmente ufficiale. In seguito a questa riunione è stata infatti accettata dall’estensore della mozione di politica generale, Guido Montani, la richiesta – chiaramente motivata sulla base di quanto spiegato prima – di distinguere nella risoluzione le iniziative “in view of the European elections in 2009” da quelle “in view of the creation of the European Federation”. Nel dibattito congressuale sono poi state avanzate proposte di emendamento al testo che, pur avendo recepito questa distinzione, non era poi coerente nelle richieste; gli emendamenti proposti sono stai spiegati in modo inequivocabile sulla base dell’esigenza di rendere la mozione conseguente rispetto alla scelta in essa contenuta di avvallare una “dual track strategy”. Montani, con alcune modifiche concordate con i proponenti, ha fatto propri gli emendamenti, e il testo così modificato è stato poi approvato dal Congresso, come già detto, all’unanimità.

Non interessa in questa rapida puntualizzazione soffermarsi sulla bocciatura della proposta di sostenere un referendum paneuropeo che Montani ha voluto venisse posto ai voti in Congresso, né disperdersi in altri dettagli. Ciò che conta rimarcare è questa nuova apertura dell’UEF – appositamente sottolineata dal vice-Presidente Agathonos nel chiudere i lavori dell’assemblea – che, dopo un dibattito che non ha lasciato spazio a nessuna ambiguità, ha scelto una formula per riaccogliere l’azione per lo Stato federale europeo come parte integrante della sua linea politica, pur non adottandola come campagna ufficiale e pur prendendo atto che molti membri mantengono riserve nei suoi confronti.

 L’UEF è uscita così rafforzata da questa prova congressuale, perché ha saputo far tesoro delle diverse anime che la compongono e ha saputo adottare una linea: a) che corrisponde alla realtà dell’Europa oggi, in cui tra i vantaggi dell’Unione europea a ventisette non c’è quello della possibilità di fare il salto politico verso la federazione; b) che capitalizza il fatto che, al momento,  esiste almeno un’azione federalista sul campo che copre il fronte “in view of the creation of the European Federation” – in base a quanto espresso nella mozione – ed è quella portata avanti dal Comitato per lo Stato federale europeo.

 

L’UEF – intesa qui come l’insieme delle sezioni  che la compongono e non tanto come organi dirigenziali – è arrivata al Congresso di Parigi con la consapevolezza di dover riaprire un nuovo capitolo della propria strategia, dato che le analisi e le scelte compiute negli anni precedenti si erano esaurite. Anche la campagna “Who is your candidate?” approvata nelle ultime riunioni istituzionali in vista delle elezioni europee del 2009, essendo un’azione destinata ad esaurirsi nel giro di pochi mesi, non eliminava certo il problema di pensare un’azione quadro più strutturale.

Pur non avendo mai condiviso la campagna per lo Stato federale europeo rivolta ai paesi fondatori, molti nell’UEF l’hanno sempre considerata con stima, come una sorta di “riserva strategica” che permetteva all’organizzazione – che nel frattempo scommetteva sull’evoluzione in senso “federale” dell’UE – di mantenere sul campo l’opzione federalista più radicale (lo Stato federale) e di identificare il quadro strategico alternativo (un’iniziativa da parte di un gruppo ristretto di paesi al di fuori dei trattati esistenti) nel caso di fallimento dei tentativi di riforma dell’Unione.

A fronte degli effettivi fallimenti dei tentativi di riformare l’UE e quindi della sconfitta della linea adottata dall’UEF, l’esigenza di “ufficializzare” l’accoglienza della linea per il “nucleo federale” in seno all’UEF si è fatta molto forte, soprattutto in alcune sezioni nazionali. Una parte degli esponenti dell’UEF ha anche iniziato a condividere pienamente l’idea che l’obiettivo federale è perseguibile solo con un’iniziativa da parte di un gruppo di paesi membri al di fuori dei trattati esistenti; molti hanno semplicemente apprezzato l’esigenza di una strategia più “radicale” (che tornasse rivendicare la pienezza dell’obiettivo della Federazione europea). Ma anche coloro (soprattutto i tedeschi di Europa Union) che non condividono l’analisi del gruppo che fa capo al Comitato per lo Stato federale europeo – nel senso che ritengono troppo azzardato impegnarsi in un’azione che si pone al di fuori delle istituzioni europee esistenti e prediligono, rispetto alla richiesta della Federazione europea, il rafforzamento dell’attuale quadro dell’Unione – hanno dovuto approvare la mozione che apriva la via all’accettazione di questa strategia, perché da parte loro non potevano sostenere nient’altro che la rivendicazione dell’approvazione del Trattato di Lisbona il più rapidamente possibile, ed erano quindi consapevoli che l’intera UEF non avrebbe accettato di limitarsi a questo impegno “paragovernativo”.

L’adozione consapevole e voluta, sancita poi dall’unanimità con cui è stata approvata la mozione finale, di una “dual track strategy”, è maturata in questo contesto. Con l’espressione “dual track strategy”si intende la netta distinzione tra le iniziative che mirano ad una miglioramento/riforma dell’Unione europea (tra cui rientrano la richiesta dell’approvazione del Trattato di Lisbona e la campagna “Who is your candidate?”) e quelle volte a perseguire l’obiettivo della federazione europea che devono avere come riferimento non l’Unione nel suo complesso ma un gruppo di paesi “willing to do so”. L’accettazione di questo sdoppiamento della strategia  è stata preparata dal lungo confronto che si è svolto in tutti questi anni e ha ricevuto in una riunione precongressuale, formalmente convocata dall’UEF a Bruxelles due settimane prima del Congresso di Parigi, l’imprimatur sostanzialmente ufficiale. In seguito a questa riunione è stata infatti accettata dall’estensore della mozione di politica generale, Guido Montani, la richiesta – chiaramente motivata sulla base di quanto spiegato prima – di distinguere nella risoluzione le iniziative “in view of the European elections in 2009” da quelle “in view of the creation of the European Federation”. Nel dibattito congressuale sono poi state avanzate proposte di emendamento al testo che, pur avendo recepito questa distinzione, non era poi coerente nelle richieste; gli emendamenti proposti sono stai spiegati in modo inequivocabile sulla base dell’esigenza di rendere la mozione conseguente rispetto alla scelta in essa contenuta di avvallare una “dual track strategy”. Montani, con alcune modifiche concordate con i proponenti, ha fatto propri gli emendamenti, e il testo così modificato è stato poi approvato dal Congresso, come già detto, all’unanimità.

Non interessa in questa rapida puntualizzazione soffermarsi sulla bocciatura della proposta di sostenere un referendum paneuropeo che Montani ha voluto venisse posto ai voti in Congresso, né disperdersi in altri dettagli. Ciò che conta rimarcare è questa nuova apertura dell’UEF – appositamente sottolineata dal vice-Presidente Agathonos nel chiudere i lavori dell’assemblea – che, dopo un dibattito che non ha lasciato spazio a nessuna ambiguità, ha scelto una formula per riaccogliere l’azione per lo Stato federale europeo come parte integrante della sua linea politica, pur non adottandola come campagna ufficiale e pur prendendo atto che molti membri mantengono riserve nei suoi confronti.

L’UEF è uscita così rafforzata da questa prova congressuale, perché ha saputo far tesoro delle diverse anime che la compongono e ha saputo adottare una linea: a) che corrisponde alla realtà dell’Europa oggi, in cui tra i vantaggi dell’Unione europea a ventisette non c’è quello della possibilità di fare il salto politico verso la federazione; b) che capitalizza il fatto che, al momento,  esiste almeno un’azione federalista sul campo che copre il fronte “in view of the creation of the European Federation” – in base a quanto espresso nella mozione – ed è quella portata avanti dal Comitato per lo Stato federale europeo.

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