Mentre nei paesi europei prosegue lo sterile dibattito sul futuro dell'Europa, il Presidente Bush ha delineato a West Point (1 giugno) le nuove linee guida della futura politica americana nel mondo, che spiegano la portata del recente Trattato di Mosca tra USA e Russia. In particolare gli Stati Uniti si preparano a difendere la pace attraverso: 1) il superamento della strategia della deterrenza e del contenimento; 2) il consolidamento della cooperazione fra grandi potenze. Questo discorso segnala una svolta nella politica americana che, in assenza di una concreta e pronta risposta degli europei, è destinata ad incidere profondamente sul futuro dell'Europa e del mondo. A questo discorso fa da significativo contraltare l'ennesima lite fra gli Stati membri dell'Unione europea sulla ripartizione delle spese per rendere operativa la forza di intervento rapido di sessantamila uomini (Financial Times 2 giugno). In materia di difesa il trattato dell'Unione, che esclude il finanziamento di operazioni militari attraverso il bilancio comunitario e che tutti dichiarano a parole di voler riformare, viene brandito dai difensori degli interessi nazionali ­ cioè a turno dai paesi membri per una ragione o per un'altra - per giustificare l'impossibilità di qualsiasi sostanziale trasferimento di sovranità: in assenza di una soluzione gli europei dovranno affittare dalla Russia i velivoli necessari per trasportare il piccolo esercito multinazionale che stanno allestendo.
Intanto gli USA si propongono come gli unici paladini della tutela della pace nel mondo. Vediamo come.
1 - "Nel secolo scorso", ha detto Bush, "la difesa dell'America si è basata sulle dottrine della guerra fredda, cioè della deterrenza e del contenimento. In alcuni casi quelle strategie valgono ancora. Ma nuove minacce richiedono un nuovo modo di pensare. La deterrenza, cioè la minaccia della rappresaglia massiccia contro altri Stati, non si applica nei confronti delle reti terroristiche, che non devono difendere né uno Stato né dei cittadini. D'altra parte il contenimento non è possibile nei confronti di dittatori senza scrupoli in possesso di armi di distruzione di massa che possono essere distribuite a terroristi o usate con le tecnologie missilistiche. Non possiamo difenderci e difendere i nostri alleati semplicemente sperando che nulla accada. Non possiamo fidarci di tiranni che firmano solennemente trattati di non proliferazione per poi ignorarli sistematicamente. Aspettare che le minacce si materializzino, significa aspettare troppo. La difesa nazionale e quella missilistica fanno parte di una più forte politica di sicurezza, e restano delle priorità essenziali per l'America. Tuttavia la guerra al terrorismo non sarà vinta restando sulla difensiva. Dobbiamo dar battaglia al nemico in anticipo, distruggergli i piani, e soffocare la minaccia prima che si manifesti. Nel mondo in cui viviamo, il solo cammino sicuro è quello dell'azione. E questa nazione agirà".
Si tratta di una strategia vincente? Una simile strategia per avere successo implica da un lato la capacità di esercitare la minaccia permanente di una guerra preventiva da parte americana nei confronti di almeno sessanta paesi (questo è il numero citato da Bush nel suo discorso) e, dall'altro, l'accettazione delle decisioni USA da parte delle altre grandi potenze. Ora, è difficile pensare di mantenere una pace giusta e duratura nel mondo basata su simili presupposti. Gli USA, per quanto potenti, non hanno e non avranno mai risorse materiali sufficienti e neanche morali (a meno di una profonda degenerazione dello stesso sistema politico americano) per tenere sotto controllo circa un terzo degli Stati del pianeta. Inoltre è impensabile che le altre potenze siano disposte ad assecondare indefinitamente la politica americana in ogni angolo della Terra.
2 - "Difendendo la pace", ha proseguito Bush, "abbiamo un'opportunità storica per preservarla. E' la nostra migliore occasione da quando nel XVII secolo è nato lo Stato nazionale, per costruire un mondo in cui le grandi potenze competano in pace e non preparino la guerra. La storia dell'ultimo secolo in particolare è stata dominata da una serie di distruttivi conflitti e rivalità fra Stati, che hanno disseminato la terra di campi di battaglia e cimiteri. La Germania ha combattuto la Francia, le potenze dell'Asse hanno combattuto quelle alleate, e successivamente l'Oriente ha combattuto l'Occidente, in un susseguirsi di guerre per procura e tregue dominate dalla tensione, con la fine nucleare a fare da sfondo. La competizione fra grandi Stati è inevitabile, ma non il conflitto armato in questo mondo. Sempre più spesso ci troviamo a fianco un numero crescente di nazioni civili ­ unite dai comuni pericoli della violenza terroristica e del caos. L'America ha, ed intende mantenere, la forza militare necessaria per far fronte a queste sfide, per eliminare il rischio di nuove destabilizzanti corse al riarmo e per limitare le rivalità alla sfera del commercio e delle altre occupazioni pacifiche dell'umanità.
Oggi le grandi potenze condividono gli stessi valori anziché essere divisi da ideologie contrapposte. Gli Stati Uniti, il Giappone e i nostri amici del Pacifico, ed ora tutta l'Europa, condividono un profondo impegno a favore della libertà, attraverso una grande alleanza come la NATO. E la marea della libertà sta ormai crescendo in molti altri Stati.
Quando le grandi potenze condividono valori comuni, possiamo contenere meglio, insieme, gravi conflitti regionali, possiamo cooperare per prevenire l'esplosione della violenza e il caos economico. In passato, le grandi potenze rivali si sono schierate su fronti opposti in gravi crisi regionali, rendendo le divisioni ancora più profonde e difficili da sanare. Oggi, dal Medio Oriente all'Asia meridionale, stiamo riunendo larghe coalizioni internazionali per aumentare le possibilità di pace. Dobbiamo stabilire forti e larghe relazioni fra potenze quando i tempi sono favorevoli, per gestire le crisi nei momenti difficili. L'America ha bisogno di partners per conservare la pace, e lavoreremo con ogni Stato che condivide questo nobile obiettivo".
E' un quadro realistico? L'idea che la fine della guerra fredda abbia portato alla fine del confronto fra potenze è ormai così diffusa che la stessa amministrazione americana la sta facendo propria. Infatti, dopo aver proposto la creazione della Lega delle Nazioni al termine della prima Guerra mondiale e dell'ONU alla fine della seconda. Ora gli USA abbandonano l'ipotesi di rafforzare, seppure in un'ottica confederale, le istituzioni internazionali. Un'ipotesi, questa, che era stata avanzata insieme all'URSS alla fine della guerra fredda. In assenza di un disegno più ampio, la proposta di Bush si riduce ad essere una riedizione della Santa Alleanza in chiave moderna su scala mondiale. Come ha sottolineato il Washington Post, "il mondo descritto da Bush è un mondo in cui gli Stati Uniti guideranno una coalizione di grandi potenze ­ che includono l'Europa, il Giappone, la Russia e anche la Cina ".
L'Europa dovrebbe sapere, per esperienza, che una Santa Alleanza non risolve i problemi, ma anzi in prospettiva crea le premesse di nuovi conflitti e disastri.
In definitiva la nuova strategia americana potrà forse garantire ancora qualche decennio di relativa sicurezza per gli USA e per i suoi alleati. Ma non potrà impedire alle contraddizioni di manifestarsi e soprattutto non potrà soffocare, come spera Bush, le rivalità fra potenze. Ciò che è necessario è un ordine multipolare più giusto e sicuro e perciò più equilibrato, in cui le responsabilità siano equamente condivise e in cui prevalga la gestione dei problemi mondiali rispetto alle risposte militari che la loro mancata soluzione rende a volte inevitabili. L'Europa divisa non può influenzare questo necessario processo, ma potrebbe farlo se la classe politica e i popoli europei decidessero finalmente di dar vita a uno Stato federale europeo.

 

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