Si tratta della Scheda n. 1 della Campagna per lo Stato federale europeo

Gli europei hanno bisogno della moneta europea

La moneta europea ha finora protetto le economie dei grandi paesi continentali europei dai danni che avrebbero subito in termini di svalutazioni competitive, inflazione e disoccupazione mantenendo le monete nazionali.

Senza la moneta europea alcuni paesi europei, a partire dall’Italia, sarebbero già in una situazione di bancarotta simile a quella in cui si trovò qualche anno fa l’Argentina quando saltò il rapporto fisso tra il peso e il dollaro.

Per questo l’abbandono della prospettiva dell’unione economica e monetaria deve essere considerato come un rischio gravissimo da evitare e non come un’alternativa per promuovere, con il ritorno alle vecchie monete nazionali, un illusorio ciclo di crescita e sviluppo in Europa. Il problema all’ordine del giorno per gli europei è come garantire un futuro alla moneta europea, non quello di abbandonarla a se stessa.

Venticinque politiche economiche non fanno una politica economica europea.

Può sopravvivere a lungo una moneta europea senza essere collegata ad una politica economica europea? Il fatto che le scelte economiche, fiscali e di bilancio siano rimaste nelle mani di venticinque governi nazionali mentre la politica monetaria è virtualmente europea comporta che le potenzialità dell’euro non possano evidentemente esprimersi appieno né in Europa, né a livello internazionale. Gli europei si trovano quindi privi degli strumenti per reagire alla crisi economica che li investe.

Inoltre, il fallimento della “strategia di Lisbona” per rilanciare la competitività dell’economia europea entro il 2010 e il mancato rispetto da parte dei grandi paesi della zona euro del Patto di stabilità e di crescita non sono solo la conseguenza dell’assenza di qualsiasi vincolo e sanzione nei confronti delle infrazioni compiute dai singoli paesi europei, ma soprattutto del venir meno delle spinte alla convergenza delle politiche nazionali che furono alla base del miracolo economico europeo del secolo scorso.

Oggi il contrasto con il clima in cui fu avviato il processo di integrazione europea non potrebbe essere più netto: negli anni cinquanta, anche grazie all’aiuto americano, i paesi dell’Europa occidentale riuscirono a triplicare, e in alcuni casi addirittura a quadruplicare e quintuplicare un tasso di crescita annuo nazionale che, nella prima metà del ventesimo secolo, era rimasto attorno all’1%. Oggi la crescita media annua nei Quindici paesi dell’unione prima dell’allargamento è tornata ad essere inferiore all’1% del PIL.

La sovranazionalità delle istituzioni monetarie europee è fittizia

Come molti studiosi hanno osservato, la Banca centrale europea (BCE) ha una struttura più vicina a quella del Federal Reserve System americano del 1913, travolto dalla crisi del 1929, che non a quella del Federal Reserve System riformato nel 1935 per impulso delle autorità federali USA. Stricto sensu la BCE non è una Banca centrale, perché non può farsi garante in ultima istanza della tenuta della moneta europea sul piano interno ed internazionale in caso di gravi crisi finanziarie o di fronte alla decisione sovrana di qualche paese di rinunciare all’euro. Ma, fatto ancor più grave, è impensabile che possa diventarlo al di fuori di un contesto istituzionale federale. E’ già successo che delle unioni monetarie regionali nascessero e morissero nell’arco di pochi decenni. In assenza di un quadro statuale capace di adeguarne le istituzioni in relazione alle situazioni storiche, l’unione monetaria latina, durata dal 1865 al 1927, e quella scandinava, inaugurata nel 1873 e sciolta nel 1924, dovettero soccombere.

Non a caso questi esempi furono ampiamente studiati dai comitati di esperti – tra i quali l’allora governatore della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi - riuniti sotto l’egida della Commissione Delors. Come non fu casuale durante il processo di elaborazione prima e di ratifica poi del Trattato di Maastricht, il frequente richiamo, da parte dei federalisti europei ma anche di alti esponenti della classe politica e delle istituzioni nazionali soprattutto in Germania, alla necessità di inserire la creazione della moneta europea nell’ambito del processo di fondazione della federazione europea.

L’unione monetaria europea non si salva senza uno Stato federale europeo

Il destino della moneta europea e del rilancio dell’economia europea dipendono quindi dalla creazione di un solido nucleo di Stato federale. Senza uno Stato federale dotato di quei poteri in campo fiscale, di bilancio e della politica economica, necessari per rendere credibile e sostenere la moneta non è pensabile che l’unione economica e monetaria europea possa sopravvivere a lungo.

Ma un simile Stato, per ovvie ragioni, potrà essere formato inizialmente solo da un gruppo limitato di Paesi membri dell’Unione europea. Più esattamente da quei Paesi in cui esiste un terreno favorevole, per ragioni storiche, per la più lunga e profonda partecipazione dei loro cittadini e dei loro sistemi economici e politici al processo di integrazione, non solo per trasferire dal livello nazionale a quello europeo la sovranità in campo fiscale e del bilancio, ma anche per sciogliere il nodo della sovranità militare e in politica estera. Ora, questa consapevolezza non solo non può maturare in tempi brevi e utili per salvare l’Europa dal declino e dall’emarginazione al di fuori dei paesi che hanno già adottato l’euro, ma non può essere inizialmente condivisa neppure da tutti i paesi di quell’area, proprio perché in gioco non c’è solo il problema della governabilità economica e monetaria di un mercato continentale, ma la creazione o meno di un nuovo Stato. Per questo il quadro in cui può essere rilanciato il processo politico indispensabile per salvare la moneta e l’economia europee resta quello dei sei paesi fondatori, cioè quello nell’ambito del quale è stata avviata l’impresa storica di porre le basi di una federazione europea nel corso del primo quarto di secolo del processo di integrazione europea.

 

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