Si tratta della Scheda n. 2 della Campagna per lo Stato federale europeo

Il quadro internazionale

La situazione mondiale negli ultimi quindici anni, dopo la fine della guerra fredda, ha subito rapidi e profondi mutamenti.

In particolare, da una lato, in seguito all’emergere della potenza cinese e in prospettiva di quella indiana, è in corso una complessa transizione verso un nuovo multipolarismo ancora molto squilibrato; dall’altro è cresciuta gravemente l’instabilità in Medio Oriente e in diverse aree del continente asiatico, acuendo il problema della sicurezza su cui pesano anche la minaccia del terrorismo internazionale e il rischio della proliferazione nucleare.

La necessità di una nuova strategia per la politica estera e per la difesa

In questo nuovo quadro è venuto a cessare di fatto l’interesse americano a sviluppare un rapporto privilegiato con l’Europa, proprio perché il continente europeo non è più il terreno di confronto in vista delle nuove sfide strategiche del XXI secolo. Questo comporta in molti casi anche una crescente divergenza tra gli interessi oggettivi delle due aree e rafforza la necessità per l’Europa di dotarsi sia di una vera politica estera, capace di individuare gli interessi degli europei anche nel lungo periodo e di difenderli nel mondo; sia di una propria difesa autonoma, vista l’inadeguatezza dei suoi apparati militari sotto tutti i punti di vista. La stessa.

NATO oggi è diventata obsoleta, ma deve essere chiaro che una ristrutturazione delle sue forze (che per primi gli USA sollecitano e nel cui quadro gli europei continuano di fatto a pensare i propri tentativi di cooperazione in campo militare) porterebbe solo ad adeguarla ai nuovi interessi strategici americani, non a quelli europei.

La consapevolezza del crescente divario tra gli interessi americani e quelli europei non sembra però ancora chiara nella coscienza degli europei, anche perché il prendere atto delle divergenze con gli USA implicherebbe un’assunzione di responsabilità che al momento i nostri Stati non dimostrano di voler compiere. Essi preferiscono continuare ad illudersi che non esistano minacce alla sicurezza interna del nostro continente – senza soffermarsi a valutare se davvero la possibilità della guerra è cancellata in modo definitivo all’interno dei confini dell’Europa – e a delegare agli Stati Uniti l’onere di farsi carico della situazione mondiale. La loro irresponsabilità è una delle cause profonde dell’instabilità dell’attuale ordine internazionale in cui un ruolo equilibratore europeo potrebbe essere in molti casi decisivo.

L’illusione di poter dare risposte a livello nazionale e nel quadro dell’Unione europea

Il problema fondamentale degli europei è che essi sono divisi e per questo inadeguati a fronte delle attuali sfide che richiederebbero invece dimensioni continentali. Il nodo da sciogliere è quindi quello della creazione di un potere europeo effettivo, il solo che potrebbe farsi carico di una politica estera e di sicurezza efficace. Ma gli Stati continuano ad agire partendo dal presupposto che la loro la sovranità nazionale sia intoccabile: essi vogliono mantenere il potere di decidere e quindi il livello europeo rimane – ancor di più in questi campi fermo al livello della cooperazione. Per questa ragione il ruolo dell’Unione europea a livello internazionale è debolissimo: se a tratti l’UE si illude di poter avere un ruolo nelle trattative diplomatiche internazionali, oppure se gli Stati membri si illudono di poter essere rappresentati attraverso le istituzioni comunitarie, la realtà è che ogni posizione cosiddetta “europea”, le poche volte che riesce ad essere elaborata, non è mai il frutto di un processo politico che permette di identificare un vero interesse dell’Europa, ma è solo un compromesso tra gli eterogenei interessi degli Stati membri, e non si accompagna a nessuna strategia complessiva. Gli europei si ritrovano, così, impotenti di fronte ai problemi e alle crisi del quadro mondiale.

La stessa cosa vale per la politica di difesa. La cooperazione in atto nel quadro dell’Unione tra gruppi di Stati non sta portando, e non può portare, alla nascita di una difesa europea. Il presupposto essenziale per il successo anche solo parziale di questi tentativi sarebbe una forte omogeneità di intenti e di obiettivi politici tra gli Stati partecipanti. Questa omogeneità non può esistere nella misura in cui la valutazione dell’interesse di ciascun paese rimane nazionale. Basti pensare al ruolo che svolge la Gran Bretagna, la quale rivendica un ruolo di leadership a livello di cooperazione in materia di difesa anche per compensare la sua assenza dall’area dell’euro. Ma i britannici al tempo stesso si oppongono alla nascita di un polo politico europeo autonomo e mantengono come punto di riferimento della propria politica estera la fedeltà agli Stati Uniti. Considerazioni analoghe si potrebbero comunque fare per tutti i paesi membri, proprio per il fatto che finché la politica estera rimane ancorata al potere nazionale la tendenza inevitabile è quella di sviluppare logiche divergenti, legate alle realtà geopolitiche di ciascuno Stato. Questo vale per la Spagna con la sua vocazione atlantica, per i nuovi paesi dell’Est fortemente nazionalisti e ostili alla Russia, per la stessa Francia – in difficoltà nel quadro dell’Unione allargata – ancora gelosa del proprio passato coloniale e delle proprie capacità militari ormai obsolete, e soprattutto per la Germania con il nuovo orientamento in senso nazionalistico della sua politica estera, dai Balcani, ai rapporti con la Russia e con l’Est europeo, al proprio ruolo internazionale.

In assenza di una guida unica – cioè, in ultima istanza, in assenza di un’unica politica estera e di un unico potere politico – la cooperazione tra Stati in materia di difesa non riesce a raggiungere neppure i basilari obiettivi tecnici né di ristrutturazione delle forze europee (che non sono riuscite ancora ad adeguarsi alle nuove esigenze strategiche dopo la fine della guerra fredda e che quindi non sono in grado di svolgere se non in minima parte operazioni all’estero), né di ammodernamento (dal settore dei trasporti a quello delle comunicazioni), né al fine di destinare maggiori fondi al settore della ricerca e dello sviluppo e di dare impulso ad un’industria europea degli armamenti (impedita dalla politica nazionale degli approvvigionamenti, cui nessuno Stato vuole rinunciare). Le cooperazioni strutturate in materia di difesa tra gruppi di Stati, previste, anche se confusamente, dal trattato costituzionale, e che molti invocano come una possibile soluzione, non possono in realtà modificare la situazione attuale. Il problema è proprio quello della cooperazione tra Stati sovrani in alternativa alla creazione di un quadro statuale europeo.

Conclusione

Il nodo cruciale per gli europei è quindi quello della sovranità. Senza il superamento del quadro nazionale non possono nascere né una politica estera né una politica europea di difesa. La creazione di un vero uno Stato federale europeo è il presupposto per poter arrivare a definire gli interessi europei nel mondo, per elaborare una strategia adeguata, per essere dotati degli strumenti di potere e del peso politico necessari per perseguirla.

E’ evidente che la volontà di realizzare questo obiettivo federale non può manifestarsi sin dall’inizio in tutti i paesi dell’Unione. Solo tra i paesi fondatori esistono le condizioni perché una simile presa di coscienza possa avvenire. Al di là dei limiti delle loro politiche nazionali attuali essi sono i soli che hanno sottoscritto nel 1950 questo obiettivo politico, che hanno inserito in questa prospettiva la propria vita politica dal dopoguerra fino agli anni’90, e che hanno al proprio interno un ampio serbatoio di consensi verso questo progetto sia nella classe politica che nell’opinione pubblica. Per questo ad essi spetta la responsabilità di dar vita al primo nucleo dello Stato federale europeo, all’interno della più ampia confederazione rappresentata dall’Unione allargata, aperto a tutti i paesi che vorranno aderirvi. Solo questo atto coraggioso potrà ridare una prospettiva futura all’Europa che rischia di essere disintegrata dai nuovi processi mondiali.

 

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